Virman Cusenza

Governo, la sintesi è fallita. C’è una sola strada, l’interesse del Paese

Crisi di governo, la sintesi è fallita. C è una sola strada, l interesse del Paese - di Virman Cusenza
di Virman Cusenza
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Mercoledì 21 Agosto 2019, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 26 Ottobre, 18:09

Sarebbe ingiusto liquidare il vero volto del governo appena caduto, concentrandosi solo sui dioscuri sconfitti. Ieri nell’aula del Senato è uscito di scena un protagonista sottovalutato. Ma non certo immune da colpe. Un mediatore che ha reso presentabile ciò che spesso non lo era, un uomo di legge che ha saputo vestire con dignità catastrofiche retromarce, un prestigiatore che ha reso quasi normale l’eccezionale deroga alle regole fondamentali della politica. Un interlocutore dignitoso in Europa ma spesso fin troppo osservante delle liturgie e degli equilibri che non vedono l’Italia, anche per nostre colpe, protagonista e in grado di condurre i giochi.
Detto questo, riesce difficile in poco più di un anno scorgerne lo spessore politico. Qualche barlume, quando si è intravisto, è stato più che altro diretta conseguenza del ruolo. In questo Paese abbiamo bisogno di politici competenti più che di competenti che si sostituiscano ai politici. Il politico deve essere in grado di rivolgersi a un tecnico che illumini e che lo aiuti a rendere tecnicamente percorribile il suo cammino, ma deve innanzi tutto avere sempre l’autorevolezza per fare sintesi e realizzare proposte innovative. Quelle capaci di cucire posizioni inizialmente troppo distanti.

Crisi di governo, la diretta della giornata
 



Certo non era facile mediare tra la tracotanza di Salvini, che ha rovinato battaglie anche popolari, e la liquida volubilità dei Cinquestelle. Conte ieri ha puntato il dito contro gli interessi personali di Salvini. Ma questo affondo andrebbe rivolto a tutti i protagonisti del tragico balletto di governo. A Salvini che ha giocato male (sbagliando i tempi) una partita personale. Ai Cinquestelle incapaci di fare scelte innovative per il Paese e che hanno guardato solo al popolo del web e ai follower della piattaforma Rousseau. Rinviare o ostacolare riforme strutturali non è il perseguimento di interessi di bottega? E chi si è messo al servizio, sia pure per mediare, di questi traccheggiamenti non lo ha fatto forse perché ha ricevuto in cambio visibilità e potere a palazzo Chigi, pur non essendo diretta espressione degli elettori?

L’esperimento di ingegneria genetica, che ha dato vita al governo giallo-verde, è fallito perché si è dimostrato ciò che temevamo sin dall’inizio: non una vera integrazione politica ma due programmi destinati a scorrere in parallelo e senza una efficace sintesi hegeliana. Tesi, antitesi e niente più. Proprio perché le rispettive proposte non erano sintetizzabili. 

È mancata la capacità di cucire, dote essenziale in politica. Ed è mancata la capacità di dare una direzione univoca al Paese: scegliendo tra crescita e assistenzialismo, rigore e lassismo, garantismo e giustizialismo.
A prescindere dal finale pirotecnico, degno più della commedia dell’arte che di un solenne confronto all’altezza del Senato e delle sue storiche sedute, ciò che è finito ieri è un grande equivoco nato più che dalla necessità dalla furbizia, legittima quanto si vuole, ma furbizia. Dove il collante lo ha fatto il presunto e sbandierato Cambiamento purchessia - direzione indicata dagli elettori premiando due forze che pur separatamente esprimevano questa esigenza - anziché il merito di un programma affine e organico che desse indirizzo univoco al Paese.

Oggi che cosa resta di tutto questo? Temiamo solo 446 giorni di rinvio nell’affrontare questioni dirimenti per un Paese in agonia. Ciò che già appariva drammaticamente urgente un anno fa oggi è indispensabile per non emarginare l’Italia da ogni contesto competitivo in cui è necessario contare qualcosa. Il Paese galleggia da troppo tempo e questo non è certo colpa solo del governo giallo-verde. Le responsabilità sono ben ripartite tra governi di centrodestra e di centrosinistra che hanno preferito illudere gli italiani di poter vivere in una bolla in cui alla fine tutto s’aggiusta.

Oggi l’ultima cosa che possiamo attenderci sarebbe il ripristino sotto nuovi panni di una riedizione dei vecchi compromessi per giunta in salsa demo-sociale. Il sollievo che potrebbe dare al Paese l’evitare le urne in piena sessione di bilancio in autunno (risparmiandoci l’esposizione sui mercati) non può diventare solo l’alibi per un rinvio che posponga di qualche mese l’amaro calice per qualche protagonista della scena, nell’illusione che il rinvio lo renda meno amaro. Per realizzare maggioranze solide che siano lo specchio del Parlamento occorrono volontà politica, perizia e grammatica istituzionale: ben più di quanto facciano intravvedere oggi gli ipotetici pronubi. Al centro di tutto, questa del resto è l’ottica del Quirinale, deve esserci l’interesse del Paese. Le vie per realizzarlo purtroppo sono ancora nebulose. Tutti gli indizi portano, per ora, a intravvedere due strade: quella del governo di garanzia elettorale. E quella di un vero e alto accordo politico: ed è qui che Mattarella vuole vederci chiaro. E non solo lui. Ma il Pd oggi diviso può trovare l’unità per affrontare questa sfida? I Cinquestelle sono abbastanza attrezzati per un così repentino e plateale ribaltamento di scena?

Il realismo ci dice che il miracolo di una cucitura politica tra due mondi assai diversi come questi (in cui non è chiaro ancora chi sia la costola dell’uno o dell’altro) è da ritenere arduo, per quanto non impossibile.
E non può sorprendere che, nell’ora della disfatta, lo sconfitto principale di questa tornata - Salvini - abbia in ciò l’unico vero motivo di consolazione.

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