Romano Prodi
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Il summit di domani/ Che cosa serve a Palermo per portare la pace in Libia

di Romano Prodi
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Sabato 10 Novembre 2018, 00:22
Siamo ormai all’immediata vigilia della conferenza di Palermo sulla Libia. Una conferenza opportunamente voluta dall’Italia per il ruolo, i rapporti di amicizia e gli interessi che il nostro Paese ha da tempo nei confronti della Libia. A cui si aggiunge l’incoraggiamento di Trump al presidente del Consiglio Conte perché organizzasse la Conferenza. 

E ancora più il comprensibile desiderio del governo italiano di contenere le ripetute iniziative francesi: dalla conferenza di Parigi all’incontro con i rappresentanti di Misurata, proprio alla vigilia della Conferenza di Palermo, ai continui interventi dei cugini d’oltralpe sui diversi fronti nei quali si è materializzata la lunga guerra di Libia.
Il primo ostacolo che la Conferenza di Palermo dovrà superare sta proprio nella tensione che si è creata fra Francia e Italia sul problema libico: tensione resa più acuta dagli interessi di politica interna che hanno spinto Macron a usare come arma per il proprio consenso il respingimento degli emigranti dall’Italia e, simmetricamente, hanno spinto i partiti che sostengono il governo italiano a proporre Macron come simbolo della mancanza di solidarietà europea nei confronti del nostro Paese. Queste posizioni contrapposte, che sembrano all’origine dell’assenza di Macron a Palermo, rendono certamente più difficile il buon esito della Conferenza.

Per questo motivo occorre fare di tutto per superarle. Una strategia coordinata fra Francia e Italia è infatti condizione necessaria per arrivare a una politica europea comune e, ancora più, per rendere possibile la messa in atto delle eventuali decisioni di Palermo. Nè l’Italia né la Francia hanno comunque la forza di imporre la propria strategia, ma entrambi i Paesi sono in grado di boicottare la strategia altrui, mentre un accordo fra Francia e Italia è, in questo caso, sufficiente per definire una politica europea comune alla quale, per diversi motivi, non avrebbero interesse ad opporsi né gli Stati Uniti né la Russia.

 Il secondo ostacolo al successo della Conferenza riguarda la numerosità e la rappresentatività delle delegazioni libiche. Sappiamo infatti quale sia la complessità delle componenti della società libica e come sia frammentato il potere fra i diversi partiti, le diverse tribù e le diverse milizie. E siamo ben coscienti che gli esclusi o gli oppositori delle decisioni prese a Palermo renderebbero del tutto impossibile la loro applicazione nel territorio libico. Nessun documento conclusivo potrà infatti essere accettato tanto dagli oppositori quanto dai non partecipanti.

I tragici avvenimenti degli scorsi anni, lo scarso successo dei tentativi di accordo fra i governi di Tripoli e di Tobruk e il fallimento delle numerose e fragili conferenze di pace dimostrano che solo una posizione condivisa da tutto il popolo libico sarà in grado di gestire con successo il futuro del paese.

Sembra che in questa direzione, ribadita tante volte su queste colonne, si stia finalmente orientando il nuovo piano del rappresentante dell’Onu in Libia Ghassan Salamè, piano che prevederebbe la convocazione di una grande assemblea di tutte le tribù e le milizie da svolgersi in Libia, per preparare un governo provvisorio in grado di organizzare, nello spazio di qualche mese, una condivisa competizione elettorale. 

Un processo complicato e reso difficile da tanti anni di turbolenze, un processo nel quale le presenze esterne debbono limitarsi a operare perché i necessari passaggi avvengano in modo trasparente e pacifico, sotto il controllo delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana che ne garantiscano anche la sicurezza per i partecipanti.
Da Palermo si deve dare il via a questo lunga e delicata fase, al centro della quale debbono essere posti gli interessi dei protetti e non dei protettori. L’Italia, nella sua recente storia, ha accumulato una grande esperienza nel costruire processi di pace anche nelle condizioni più difficili, come in Libano o in Albania. Quest’esperienza può essere messa a frutto con successo purché ci si renda conto che si tratta dell’inizio di un cammino che deve coinvolgere progressivamente tutto il popolo libico.

 Il grande compito di Palermo non è quindi quello di dettare ma di promuovere la pace. Non è un compito facile perché troppi sono stati gli appetiti e gli interessi che hanno dato inizio e che hanno poi alimentato un conflitto che, già ad oggi, è durato più della seconda guerra mondiale. Il successo di questa Conferenza non si misurerà quindi dal suo comunicato finale ma dalle  conseguenze che potrà produrre in futuro. Un successo difficile ma reso possibile dal crescente desiderio del popolo libico di porre fine alle sofferenze che sono durate troppo a lungo e che risultano ancora più incomprensibili in un paese che dispone di enormi risorse naturali. Risorse che sono state causa della guerra ma che debbono invece promuovere la ricostruzione di tutto il paese e la promozione del benessere dei suoi cittadini.
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