Romano Prodi
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Il senso del voto/L’Italia eviti l’isolamento per cambiare l’Europa

di Romano Prodi
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Domenica 19 Maggio 2019, 00:05
Stiamo arrivando al termine di una strana campagna elettorale. Una campagna che riguarda le elezioni europee ma nella quale la politica nazionale ha, fino ad ora, giocato un ruolo assolutamente prevalente. I dibattiti delle scorse settimane si sono infatti solo concentrati sulle liti fra i partiti di governo, sullo sfondo di un’opposizione tutta dedicata a mettere in luce queste contraddizioni. Abbiamo assistito a raffinatissime analisi sulle possibili conseguenze dei risultati del voto, sui rapporti di forza fra i diversi partiti e quindi sulla durata del governo in carica. Ben poco invece su quale debba essere la politica europea che il nostro paese ha interesse a perseguire. 

L’unico cambiamento sostanziale durante la campagna è stato il progressivo abbandono, da parte dei partiti sovranisti, del proposito di abbandonare l’Europa e l’Euro. Di fronte alle tragicomiche operazioni britanniche per mettere in atto la Brexit e di fronte a Trump e a Putin che vedono l’Europa solo come un concorrente da contenere, si sono finalmente tutti convinti che lasciare l’Unione Europea porti solo un salto nel buio. 
La campagna d’Europa di Lega e Cinque Stelle è ora dedicata soprattutto a imputare all’Unione Europea gli errori di una nostra politica economica che confina la crescita italiana ora all’ultimo, ora al penultimo posto tra i 28 membri dell’Unione.

Nel frattempo i partiti di governo non hanno cessato di litigare con tutti gli altri paesi dell’Unione Europea: perfino con Francia e Germania che, pur spesso in disaccordo sui temi di politica estera ed economica, agiscono fra loro in perfetta armonia quando si debbono mettere in pratica i grandi progetti comuni che plasmeranno il futuro dell’industria e della tecnologia europea.

Il nostro governo, pur a malincuore, accetta la nostra permanenza in Europa ma il suo isolamento ci riduce ad un ruolo assolutamente marginale. Addirittura nei confronti degli altri paesi sovranisti, insieme ai quali si esibisce con tanti appelli comuni, esso non riesce a trovare un accordo di collaborazione nemmeno sul tema dell’immigrazione. D’altra parte i sovranisti, per definizione, non possono che agire per se stessi, senza tenere conto che, nella realtà di oggi, la sovranità si difende solo condividendola con altri. 
Per fortuna abbiamo ancora una settimana prima delle elezioni e tutte le analisi disponibili ci dicono che, data la crescente mobilità del voto, i due terzi degli elettori che intendono recarsi al seggio non hanno ancora preso una decisione e che un numero sempre maggiore di loro deciderà solo al momento di entrare in cabina. 
C’è quindi una settimana di tempo per riflettere non solo sui grandi risultati che l’Unione Europea ci ha dato in termini di pace e di sviluppo ma soprattutto sul fatto che oggi esistono al mondo 23 cinesi e 6 americani per ogni italiano e che, fra poco più di una generazione, dovremo fare i conti con 30 indiani e non so quanti indonesiani e pachistani per ogni nostro cittadino, mentre vi saranno tanti nigeriani quanti europei. 
La prossima settimana dovrà quindi essere dedicata a riflettere sulle cose che potremo e dovremo fare assieme tutti noi europei per vivere o, semplicemente, per sopravvivere. 

È ovvio che, prima di tutto, dobbiamo mettere progressivamente in atto il progetto di un esercito europeo. Sarà un cammino lungo ma le evoluzioni dei rapporti con gli Stati Uniti ci obbligano a costruire, nell’ambito dell’Alleanza atlantica, un vero esercito comune fornito di un suo retroterra industriale e di un’efficiente capacità operativa. A questo si aggiunge l’altro grande obiettivo: armonizzare la politica economica e fiscale in tutti i settori in cui essa incide sulla concorrenza fra i diversi paesi. 
Queste sono le premesse di una futura politica europea a cui si debbono aggiungere alcuni altri obiettivi possibili, concreti e indispensabili per il futuro dei nostri cittadini. Obiettivi che possono essere raggiunti solo con una stretta collaborazione a livello europeo.
Intendo prima di tutto una politica dell’innovazione e della ricerca che ormai si concretizza in campi nei quali le capacità dei nostri singoli paesi sono fuori gioco. Pensiamo solo all’intelligenza artificiale, riguardo alla quale perfino il piano straordinario della Germania è un’infima frazione di quello americano e cinese. Pensiamo quindi alla politica ambientale, all’energia e all’agricoltura e soffermiamoci infine al grande capitolo del welfare, antico orgoglio dell’Europa, depauperato dagli anni della crisi economica. Esiste già pronto un grande progetto, preparato dalle Casse Depositi e Prestiti e dalle Banche Pubbliche di tutti i 28 membri dell’Unione Europea per fornire alle esauste risorse nazionali, regionali e comunali dei diversi paesi oltre 100 miliardi di Euro all’anno per la sanità, la scuola e l’edilizia popolare. 

Abbiamo ancora una settimana di tempo per riflettere su quanto grande sia la posta in gioco delle prossime elezioni europee e come sia importante mandare al Parlamento di Bruxelles persone che sappiano perseguire questi obiettivi con una conoscenza dei fatti che può dare frutti positivi solo se fondata su robuste alleanze con i nostri partner. 
Piaccia o non piaccia, nel mondo globale non si può avere alcun futuro litigando con tutti e applicando una dilettantesca politica di isolamento. 

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