Ruben Razzante
​Ruben Razzante

Il webpopulismo / L’educazione digitale che manca in politica

di ​Ruben Razzante
4 Minuti di Lettura
Lunedì 6 Marzo 2023, 23:56 - Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 00:36
Tagliato il triste traguardo del primo anno di guerra russo-ucraina, sono aumentate le pressioni dell’opinione pubblica internazionale per l’avvio di un processo di pacificazione che porti alla conclusione del conflitto. Gli accorati appelli del Papa e i tentativi di mediazione da parte di Stati terzi non hanno sin qui prodotto l’esito tanto atteso e ci si interroga su quali possano essere i sentieri non ancora battuti per arrivare al “cessate il fuoco” e all’attivazione di negoziati realmente costruttivi.
Una riflessione andrebbe nel frattempo promossa rispetto al ruolo che l’informazione può giocare nella fluidificazione dei canali di dialogo e nella veicolazione di messaggi distensivi per ricomporre le fratture, accorciare le distanze tra le opposte ragioni, levigare le superfici del confronto.
Le azioni di contrasto alla disinformazione sono uno degli antidoti che i media internazionali, le piattaforme web e social, gli Stati, l’Unione Europea e le organizzazioni internazionali stanno moltiplicando, nel tentativo di depurare i circuiti informativi dalle scorie tossiche delle fake news che impediscono all’opinione pubblica di formarsi un’opinione libera e realistica su quanto sta accadendo sul fronte russo-ucraino.
Nel frattempo, però, è compito di tutti i cittadini provare a chiedersi cosa possano e debbano fare per rendersi attori e paladini di pace. 
Al di là delle forze in campo e dei territori coinvolti, la guerra ha infatti una dimensione globale che coinvolge l’intera comunità internazionale e l’apporto che ogni essere umano è chiamato a dare per spegnerla è riconducibile in primo luogo ai singoli comportamenti individuali.
In questa prospettiva la “bonifica” dell’ecosistema mediale, con particolare riguardo all’ambiente virtuale, diventa la priorità, poiché la violenza verbale che si sprigiona quotidianamente nel regno del web rischia di essere un vero e proprio macigno lungo il percorso di costruzione della pace. 
Sanificare l’ambiente digitale appare ora come ora la vera sfida da coltivare per umanizzare le relazioni interpersonali.
Non è un caso che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), in attuazione dell’articolo 30 del Testo unico dei servizi dei media audiovisivi e dopo un processo di consultazione con gli stakeholder e i soggetti interessati, abbia dato il via di recente al nuovo Regolamento in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona contro le discriminazioni e di contrasto all’hate speech, vale a dire i discorsi d’odio.
Il testo rappresenta un tassello importante nel mosaico della strategia nazionale di contrasto al linguaggio d’odio nell’ambito dei media tradizionali e delle piattaforme digitali e introduce una tutela rafforzata per le lesioni più gravi dei diritti fondamentali collegate all’istigazione alla violenza o all’odio.
Si tratta di disposizioni preziose per contenere l’impatto devastante delle radicalizzazioni verbali e per contribuire a convertire i media tradizionali e quelli on-line da sfogatoi di pulsioni scomposte e incontrollate a teatri di interazioni virtuose, contrassegnate dall’utilizzo di un linguaggio rispettoso della dignità umana e dei diritti della personalità altrui.
Questa attitudine al dialogo per declinare la pace in tutte le dimensioni e in tutti gli ambienti è una responsabilità di ogni essere umano, ma che ricade in misura maggiore su chi riceve un mandato popolare ed è chiamato a rappresentare il popolo. 
E’ amaro constatare che gli “incendi verbali” del web spesso vedono protagonisti proprio i personaggi pubblici e in modo particolare i politici. Quella del “webpopulismo” è una giostra sulla quale salgono a turno quasi tutti i leader dei diversi partiti e molti rappresentanti delle istituzioni, che confondono la comunicazione con la propaganda e si esercitano nello sport del vacuo chiacchiericcio social, sperando di accrescere la propria popolarità e di ricavarne, alla prima occasione, un tornaconto elettorale.
I canali social, che favoriscono l’interazione tra elettori ed eletti e costituiscono una indubbia ricchezza per il confronto democratico, vengono spesso impiegati come strumenti di delegittimazione dell’avversario e amplificatori di insulti rancorosi piuttosto che come mezzi di manifestazione del pensiero e di avvicinamento alla verità delle cose. 
Sul piano giuridico a rispondere di questi comportamenti sono i singoli utenti. Anche di recente, infatti, la giurisprudenza ha ribadito che i colossi del web sono chiamati a rimuovere i post diffamatori e offensivi solo quando sia chiara la loro manifesta illiceità. 
Tante volte, però, circolano contenuti tossici, che inquinano il clima sociale senza per questo integrare gli estremi di violazioni di legge. Tali contenuti sono figli di un uso improprio e manipolatorio della Rete che andrebbe combattuto con le armi dell’educazione digitale. Ci sono forze politiche che portano avanti scuole di formazione della classe dirigente imperniate sulla trasmissione di nozioni teoriche sull’ordinamento statuale e le tecniche di comunicazione. 
Sarebbe ora che inserissero in quei percorsi formativi anche insegnamenti sui doveri che chi gestisce la cosa pubblica ha nei confronti dei cittadini-utenti del web e dei social per quanto riguarda l’utilizzo corretto e disciplinato di quegli strumenti, che nel prossimo futuro diventeranno le leve principali dell’esercizio dei diritti di cittadinanza digitale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA