Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Il caso Milano/ La difesa necessaria della sicurezza delle donne

di Paolo Pombeni
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Giovedì 13 Gennaio 2022, 00:59 - Ultimo aggiornamento: 01:58

Inquietante. Parliamo di quanto è avvenuto a Milano in piazza Duomo, ma forse anche in altre città senza che se ne siano occupate le cronache. L’inquietudine non è tanto quella per la possibilità di essere coinvolti in episodi di delinquenza e sopraffazione: purtroppo sono eventi che fanno parte del nostro vissuto (e, purtroppo, della storia del genere umano). Quel che non dovrebbe lasciarci “quieti” è lo specifico di quanto è accaduto, perché è ciò che dovrebbe indurci a riflettere su alcune debolezze strutturali del nostro sistema di convivenza.
C’è indubbiamente il tema della violenza contro le donne. In crescita ci dicono le statistiche. In questo caso specifico è una violenza senza radici (di giustificazioni neanche a parlarne: non ce ne sono mai). Un branco di giovani uomini hanno ritenuto di poter esercitare la supremazia violenta del gruppo su giovani donne indifese. E’ accaduto non in qualche angolo oscuro e/o periferico di una città, ma in una piazza centrale, dove per di più stazionavano forze dell’ordine. Perché? Le spiegazioni sono più d’una.

Certamente alla radice del comportamento del branco c’è un problema culturale ma non nel senso accademico, bensì antropologico del termine. Ci sono soggetti maschili che si percepiscono nel ruolo di dominatori a cui tutto è permesso e che anzi devono esibire in continuazione questa loro libertà di prevaricare. Nel caso specifico si ritiene che questi soggetti vengano da un retroterra culturale di immigrazione magrebina, in parte di seconda generazione, in parte no. Intendiamoci: non è da farne una questione di razza, ma piuttosto di ambienti in cui permane la cultura sociale del maschio predatore che deve misurare la sua supremazia nella trasgressione delle regole. Qualcosa che non è esclusivo degli ambienti di immigrazione ancorati a comportamenti semi-tribali per cui ci siamo “noi” e gli “altri” sono territorio di caccia e di conquista. Mentre ci sono molti immigrati che hanno altri e ben diversi approcci alla vita sociale, sarebbe ipocrita non riconoscere che quel certo modo di pensare e comportarsi è stato presente anche nelle sottoculture nostrane e continua a riemergere.

Ciò che un poco stupisce ed inquieta è che non si sia tenuto conto della realtà che abbiamo richiamato, che è ben nota. In una piazza centrale durante una notte che tradizionalmente si presta a comportamenti sopra le righe, le forze dell’ordine sono state schierate più per perimetrare il campo che per controllarlo al suo interno. E’ un problema che chi pianifica questi interventi deve porsi. Sappiamo bene che non è facile, perché è ovviamente anche un problema di rapporti numerici: pattuglie di due o tre agenti mescolate a folle si teme possano essere facilmente sopraffatte.

Qui si pone un secondo problema: il declino della forza del controllo sociale.

Un comportamento deviante viene contenuto e represso prima di tutto dal sapere che è rigettato dalla comunità sociale: chi si comporta in un certo modo viene emarginato. Se ciò viene meno, se ciascuno pensa solo ai fatti suoi, diviene difficile qualsiasi tipo di contenimento della devianza. Vediamo intorno a noi che ormai prevale nella psicologia di troppi la convinzione del “nessuno mi può giudicare”: il singolo cittadino che richiama altri a comportamenti corretti, ma persino coloro che sono tenuti a far rispettare le regole vengono spesso insultati per non dire di peggio da chi si sente in diritto di seguire solo la sua propria legge personale. L’abbiamo ampiamente visto durante questa difficile esperienza della pandemia per quanto riguarda il rispetto delle regole di prevenzione.

Contro questo stato di cose bisogna reagire: certo sul piano della repressione (lode alle forze di polizia che non hanno lasciato correre sui fatti di Milano impegnandosi in indagini laboriose), ma altrettanto sul piano del coinvolgimento della popolazione in un’azione pedagogica che porti a prendere di petto il tema di gap culturali che sono presenti e che si stanno anche diffondendo. Poiché il caso di Milano richiama la tematica della tutela del mondo delle donne, sarà anche il caso di riflettere su come siamo di fronte a problematiche le quali richiedono una considerazione più approfondita. Al momento l’impressione è che ci si concentri più su una difesa delle condizioni relazionali delle donne coi loro partner, effettivi o autoimpostisi come tali. Problematiche molto serie non c’è dubbio, per quanto poi non semplici da gestire (spesso ci sono relazioni di partnership che coinvolgono altri soggetti, specie minori), sicché sono state avanzate molte critiche sull’efficacia effettiva in tutti i casi di normative pur in sé stesse stringenti.

Rimane però da tutelare la libertà e sicurezza delle donne nel loro vivere sociale. Si deve perseguire una duplice strategia. Indubbiamente il rafforzamento delle sanzioni specifiche contro chi approfitta di condizioni di debolezza delle vittime, dando per scontato che le donne siano in questa condizione salvo evidente prova contraria. Al tempo stesso investire in una guerra senza quartiere a quelle subculture che esaltano il maschio dominatore e predatore e contemporaneamente rafforzare la cultura della solidarietà sociale, per cui la preservazione di un sistema di convivenza civile richiede il sostegno attivo e il coinvolgimento di tutti i cittadini.

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