Paolo Graldi
Paolo Graldi

Una tessera per dire: «Io ho fatto la mia parte»

di Paolo Graldi
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Lunedì 28 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 14:34

Una tessera vaccinale, utile per certificare l’avvenuta somministrazione del farmaco. Di questo documento, semplice e tuttavia utilissimo, non c’è traccia, almeno per ora, nella copiosa e floreale comunicazione dell’apparato che gestisce la guerra al Covid-19. È vero che le Asl e i medici di famiglia, quando si tratta di vaccini, possono rilasciare un attestato, una specie di certificato.

Ma l’uso di una tessera vaccinale potrebbe andare ben oltre.
Il documento potrebbe somigliare a una tessera elettorale, con tanto di dati anagrafici con gli esatti riferimenti alla prima e alla seconda somministrazione del vaccino, dove e da chi è stata eseguita, con quale tipo di vaccino, un documento da conservare nel tempo, da aggiornare negli anni, qualora diventi necessario, e da esibire ad ogni occorrenza. 

Una tessera che è anche un promemoria sulle scadenze da osservare magari con annotazioni sanitarie per i soggetti che necessitano di qualche attenzione supplementare. Chissà perché ma, fino ad ora, non se ne è affatto parlato. E’ impensabile che nessuno, tra le tante teste specializzate, che nessuno alla Protezione Civile, nello staff del commissario Arcuri, tra epidemiologi, virologi, infettivologi, statistici, burocrati generici o addetti a mansioni superiori non si sia applicato a rispondere all’interrogativo dell’ampia funzionalità di una tessera da consegnare al cittadino-utente-paziente al posto di un foglietto volante, uno dei tanti di cui occorre dotarsi anche solo per uscire di casa nei giorni della zona rossa. 

Inoltre, più avanti nel tempo, i vaccinati potrebbero forse avere qualche vantaggio: per esempio l’accesso allo stadio, ad eventi con molto pubblico, al cinema, a teatro. E’ forse la burocrazia, già con le palle di piombo ai piedi, a frenare la fioritura di questa primula, da inserire tra quelle che ornano i gazebo in allestimento per il via alla colossale campagna di profilassi? 

O la tessera è nelle intenzioni ma l’organizzazione generale è già troppo complicata? Certo, constatare che mancano 13 mila professionisti tra medici e infermieri ricercati attraverso un bando che scade il 28 dicembre, cioè oggi, ed è stato lanciato dieci giorni fa quando da un anno si attendeva con ansia l’arrivo del vaccino, autorizza qualsiasi ancorché temeraria supposizione. 

In un Paese dove è giustamente obbligatorio (anche se spesso ritenuto facoltativo) perfino lo scontrino per un caffè e dove non si può salire su nessun treno se si è privi di un biglietto con tanto di prenotazione, lascia perplessi questo elementare vuoto di pianificazione. 

L’ultima tessera di cui si ha memoria è quella esibita da Luigi Di Maio, all’epoca bi-ministro dello Sviluppo e del Lavoro, nel giorno della consacrazione del Reddito di Cittadinanza: un rettangolino di plastica giallo trattato come una reliquia, conservato in un’ampia campana di vetro a sua volta coperta da un drappo di velluto rosso, da strappare via come si fa per le opere d’arte o per le lapidi alla memoria.

La poco esaltante storia di quella tessera, si dice con una punta di malignità, è forse all’origine del sordo silenzio intorno a quella vaccinale. 

Che non se ne faccia niente va comunque benissimo se il rischio è quello di aggiungere un’ulteriore incombenza a chi deve vaccinare gli italiani. 

La luce in fondo al tunnel da tutti intravista subirà purtroppo diversi inciampi, com’è accaduto tante volte fin qui.

In questo caso ci si dovrà accontentare di un foglietto da accartocciare nel portafoglio e da conservare con le foto dei propri cari, fino alla prossima iniezione. E al via libera dal virus.

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