Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

Accelerazione russa/ La difesa unica europea ora diventa più urgente

di Vittorio Emanuele Parsi
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Mercoledì 23 Febbraio 2022, 00:10

Il tono, la durezza e la violenza delle parole impiegate da Vladimir Putin al momento della spettacolarizzazione della firma con la quale riconosceva l’indipendenza delle due “repubbliche popolari” ribelli del Donbass non lasciano presagire niente di buono. Non appaiono parole impiegate a scopo autocelebrativo, per chiudere in qualche modo una vertenza, per giustificare quello che si è fatto o si sta facendo, ma piuttosto per anticipare ciò che si è già deciso di compiere, i passi ulteriori sulla rotta dell’escalation. Sono le parole, ancora di più della decisione di inviare truppe russe nelle repubbliche, a far ritenere che il disegno di Putin sia riportare l’Ucraina nella sfera di influenza russa o, in alternativa, destabilizzarla in maniera permanente. Magari iniziando ad allargare il territorio sotto il controllo dei ribelli – e ora della Russia – all’intero Donbass.

A un trentennio dalla sua proclamazione – sempre riconosciuta da Mosca – Putin dimostra tutto il disprezzo per l’indipendenza dell’Ucraina, la definisce un’invenzione di Lenin, violentando la storia e il tributo di sangue pagato dalla popolazione di quel Paese, principalmente dai contadini, all’attuazione del piano genocidario dei bolscevichi: “estinguere”, sterminare per fame i kulaki, i “contadini ricchi”, che si opponevano alla collettivizzazione delle terre, delle bestie, delle messi, delle sementi e degli attrezzi da parte dei commissari del popolo.

In realtà i kulaki erano in gran parte tutt’altro che ricchi, erano semmai appena meno miserabili dei loro omologhi russi e della massa di braccianti che popolavano l’impero degli zar. E lo erano in gran parte per la differente struttura proprietaria delle terre in Ucraina, frutto anche della diversità dell’Ucraina rispetto alla Russia. La loro indipendenza gli Ucraini l’hanno ottenuta, molti decenni dopo, e non certo come grazioso regalo da parte di un’Unione Sovietica in dissoluzione, perché sconfitta dalla storia, ma anche grazie ai milioni di morti causati dalla lunga dominazione russa.

La fatica di Putin a riconoscerlo non è solo frutto della particolare cultura politica di un apparatchik, un ex membro del Kgb. Gioca un ruolo anche la difficoltà della cultura russa, tutt’intera, a considerare la natura coloniale del suo impero, in tutte le sue evoluzioni: da quello zarista a quello sovietico a quello che il capo del Cremlino vagheggia.

L’idea di poter trattare con la pistola sul tavolo, di essere più forte non in base alle argomentazioni, ai principi che si evocano, alle alleanze che si sanno tessere e al seguito che si è in grado di procacciarsi non è un’esibizione di “realismo politico”: è il suo opposto, nei tempi sovietici si sarebbe definito “avventurismo politico”. Nella visione che Putin sta esprimendo su tutta la vicenda ucraina predomina un revanscismo ossessivo e claustrofobico, in cui gli altri – che siano leader politici o governi stranieri o popoli – possono solo scegliere se piegarsi alla ragione della forza o essere spazzati via.

Il riconoscimento dei “confini costituzionali” delle due repubbliche ribelli fa intendere che Mosca sia pronta ad allargare militarmente la loro dimensione, costi quello che costi, sfruttando o creando ad arte un incidente ed è l’ennesima scelta per l’escalation. Su un punto occorre essere chiari: una guerra di aggressione di uno Stato contro un altro Stato non si vedeva in Europa dal 1939. Il punto non è se Putin sia come Hitler – figuriamoci, il Führer ha un profilo criminale unico – il punto è riconoscere che se la Russia continua su questa strada costituirà una minaccia per la nostra identità e per la nostra sicurezza esistenziale drammaticamente maggiore di quella che ha segnato la nostra storia negli ultimi vent’anni. Paradossalmente, queste mosse di Putin rafforzano l’esigenza di una difesa comune europea più robusta e credibile e rilanciano le ragioni del legame transatlantico, oltre che richiedere immediate dure reazioni. Un risultato che difficilmente potrà essere presentato come un successo strategico dal Cremlino.

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