Carlo Nordio
Carlo Nordio

Censure di guerra/La libertà d’espressione un baluardo di democrazia

di Carlo Nordio
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Lunedì 28 Marzo 2022, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 00:25

Alcuni secoli fa, dopo aver decretato l’espulsione dei gesuiti in quanto predicatori di intolleranza, il Re di Francia diede udienza a un alto esponente dell’Ordine, che protestò per quella limitazione di libertà. Il Sovrano, sorpreso e irritato, replicò così: “Proprio voi venite a parlarci di libertà? Voi che, quando siete al potere, fate mandare al rogo gli eretici?”.

“Sire - rispose imperturbabile il religioso - questo è del tutto logico. La libertà che io pretendo in nome dei vostri principi, ve la nego in nome dei miei”.


Vero o falso che sia, questo aneddoto rappresenta efficacemente l’insolubile antinomia tra due filosofie, quella liberale e quella assolutistica, ciascuna delle quali è coerente con le proprie premesse. Prendiamo ad esempio la libertà di stampa. In democrazia è intesa come possibilità di esprimere il proprio pensiero; nelle dittature è invece l’ adesione alla volontà del tiranno, depositario della verità ed esclusivo tutore del bene comune. In quanto tale, il despota può persino invocare il Vangelo, secondo il quale “solo la Verità vi farà liberi”.

Di conseguenza un’opinione difforme da quella ufficiale non è un dissenso legittimo, ma un attentato alla sicurezza dello Stato. Di questa dicotomia abbiamo avuto un recente esempio significativo. L’ambasciatore russo denuncia la gravità di alcune affermazioni giornalistiche verso Putin. Noi rispondiamo che queste cose lui non le capisce perché in Russia la libertà di stampa non c’è. E il diplomatico può replicare, con perfetta logica gesuitica, che non sta parlando della legislazione russa ( che considera perfetta) ma di quella italiana, che pone dei limiti alle critiche istigatrici di violenza. E così la querelle può protrarsi all’infinito, come quando un sordo risponde a domande che nessuno gli pone.
Tuttavia la nostra fede sulla sacralità della libertà di cronaca e di critica, essendo una fede laica e non dogmatica, può porsi, e in effetti continua a porsi, una domanda diversa: quali sono i limiti di tale libertà?
La nostra legislazione tradizionale ne fissa, in sintesi tre: 1) la verità dei fatti narrati. 2) la continenza, cioè il dovere di astenersi da espressioni oggettivamente ingiuriose e infine, 3) la pertinenza, cioè l’interesse pubblico alla diffusione della notizia. Poiché ciascuno di questi requisiti ha occupato centinaia di menti e interi scaffali di biblioteche, rinunciamo a spiegarli esaustivamente, e ci affidiamo alla comprensione del lettore. Si tratta in effetti di principi di buon senso, che ciascuno di noi coglie intuitivamente e non può non condividere.


Il fatto è che questa visione tradizionale è stata compromessa dall’ evoluzione dei mezzi comunicazione, dapprima lenta, poi progressivamente crescente, e infine fulminea.

Le notizie che un tempo arrivavano per telefono, via cavo o con telescrivente erano sintetiche ed essenziali, consentivano una riflessione ragionata e imponevano una vigilanza accorta, perché una smentita sarebbe stata un’intollerabile offesa al prestigio e alla credibilità del giornale.

Ora la situazione si è capovolta. Non solo il potenziale lettore assiste all’evento prima di chi dovrebbe informarlo, ma le fonti cui può attingere sono tali e tante da confondergli le idee, ammesso che potesse averle chiare. L’avvento dei telefonini ha fatto di ognuno un produttore, regista e attore di un film. Per fare un esempio, l’impatto dei due aerei dei terroristi sulle torri gemelle è stato visto e diffuso da dieci angolazione diverse , e da questa semplice variazione di prospettiva taluni hanno sostenuto che quegli attentati fossero fasulli.

In Europa, e purtroppo soprattutto da noi, gli interventi dei più autorevoli analisti sono spesso stati contestati, basti pensare al Covid, con grossolane banalità, espresse in battute categoriche e svincolate da ogni controllo critico. Oggi l’informazione corre sempre di più il rischio di una sorta di dissociazione bipolare: da un lato un’asfissiante sovrabbondanza di notizie ,vere o inventate, che soffocano e narcotizzano il destinatario. E dall’altro una mutilazione del dibattito argomentato dove il pensiero assente è surrogato da un vocabolario a prestito, sostenuto solo dall’ irruenza polemica e persino da una violenta litigiosità. La stampa si è dovuta adattare a questa rivoluzione , ed è difficile che una legislazione, o un giudice, possano sempre assicurarne la conformità ai principi sopra enunciati. Essa quindi più che un “oggetto” di disciplina dovrebbe diventare un “soggetto”di autocontrollo orientando i cittadini alla ricerca, e soprattutto alla difesa, della verità.

Ma poiché ognuno di noi vede e descrive le cose attraverso la lente più o meno deformante dei propri pregiudizi, è illusorio pensare che tutte le notizie e i commenti siano liberi e oggettivi . C’è dunque un solo modo per assicurare la libertà di stampa: consentire a tutti gli organi di informazione la diffusione delle notizie e delle opinioni che ritengono più opportune, affinché, attraverso il confronto tra notizie e opinioni differenti ogni cittadino possa farsi l’idea che crede. Così, se la decisione finale spetterà lui, non potrà lamentarsi di essere stato ingannato.

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