È stato distrutto un ospedale dove nascono e crescono i bambini e sono stati consegnati i piccoli direttamente alla morte. Si è negata la vita lì dove sorge. Le immagini della strage dei bimbi a Mariupol e altrove - che abbiamo scelto di non pubblicare - così smisuratamente choccanti da far vedere, raccontano di un esserino pietrificato e ingabbiato nella terra come un residuo bellico. Di una femminuccia con le sue trecce e la sua copertina disegnata ad orsi e margherite che sta riversa a pancia in giù, trafitta dai colpi. Di un’altra piccina con il volto insanguinato, il corpo impolverato, le mani giunte e appoggiate sul ventre ricoperto da una maglia colorata e lacera con stampato un gatto e però la soavità di quell’animaletto illustrato e la freschezza di questa personcina innocente sono straziati dalla morte.
Davanti a scene così, girarsi dall’altra parte non si può e non si deve. Perché le immagini tremende del bombardamento dell’ospedale di Mariupol e dello strazio inflitto a chi nella sua giovane esistenza aveva diritto al sorriso e alla speranza, e a guardare il mondo nel suo bello e non nel suo orrore, mandano un messaggio semplice e profondo: fermate questa guerra! Sono le icone della non ulteriore tollerabilità del conflitto in corso le immagini appena descritte. Spiegano come viene sepolto, a due passi da noi, ogni senso di umanità. Uccidere i bambini è uccidere tutto. Chiudere i loro occhi a colpi di missili significa chiuderli a chi ancora deve vedere ogni cosa ed è invece riuscito a vedere soltanto il peggio del peggio.
La strage dei bimbi deve valere come scossa a smetterla di cavillare su chi tra i contendenti abbia ragione e chi torto, su Dombass o No fly zone, su interessi geopolitici della Russia, dell’America, della Nato, della Cina o della Ue, e a pretendere che si arrivi subito, ora, a un compromesso non solo possibile ma obbligato. Zelensky ha detto di poter accettare alcune delle condizioni poste da Mosca e allora perché non ci si siede davvero intorno a un tavolo di trattativa per la pace? Quante altri bambini dovranno morire perché si arrivi a una composizione dei torti e delle ragioni che implichi la fine delle ostilità? Servono altri lutti per smuovere le coscienze dei belligeranti a dire basta agli eccidi e all’eccidio dei piccini?
Le immagini di Mariupol spezzano il cuore dell’umanità ma dell’umanità fanno parte anche i signori della guerra. A meno che loro non abbiano perso anche la più piccola briciola di coscienza e neppure le vite spezzate dei bimbi possano valere ai loro occhi come un freno, come una vergogna inflitta a se stessi e una pena comminata al prossimo, come una ammonimento a ritrovare il senso perduto della civiltà.
Già l’altro giorno è risultata choccante la foto del piccolo Kirill, 18 mesi, morto nell’ospedale senza corrente sempre a Mariupol, e la vana corsa disperata dei genitori per salvarlo. Ora c’è la moltiplicazione di queste scene. E siamo nelle serie che ebbe nella foto di Aylan - tre anni, riverso sulla spiaggia, in fuga con i genitori profughi dalla Siria - una delle rappresentazioni più angoscianti e più ammonitrici per l’opinione pubblica europea perché è in Europa che il piccolo voleva arrivare. O in quella dei bimbi bersagliati dalle granate dei russi nella scuola di Beslan, dove morirono quasi 300 ragazzini ceceni. Ora i piccoli grandi martiri di Mariupol appartengono in pieno, per un fatto geografico e culturale, all’album di famiglia europeo. Sono vestiti come i nostri bambini, hanno gli stessi animaletti sulle t-shirt, gli stessi ninnoli e gli stessi giochi. Sono proprio i nostri figli e i nostri nipoti. E davanti a piccoli pezzi di noi di cui si fa strage, ancora ci attardiamo a non pretendere - non retoricamente ma praticamente: parlatevi e chiudiamo l’orrore - che venga subito conclusa questa guerra?
Finché esistono le macerie sotto cui piangono e muoiono i bambini ucraini, quelle macerie siamo noi