Carlo Nordio
Carlo Nordio

Tragica fatalità/ Le cautele da adottare quando si torna alla normalità

di Carlo Nordio
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Mercoledì 26 Maggio 2021, 00:06

Lo storico Svetonio attribuì ad Augusto una frase diventata celebre: «Festina lente». Che, più o meno, significa: «Affrettati lentamente». Un ossimoro che fu rappresentato in varie immagini, ora da una tartaruga con la vela, ora da una lumaca da cui esce una lepre. Ogni bibliofilo conosce il simbolo di Aldo Manuzio, l’ancora con il delfino: la velocità e la solidità. Il concetto è chiaro: vai spedito, ma sii anche prudente, altrimenti invece di arrivare ti schianti.

Non sappiamo con certezza se questo saggio principio sia applicabile alla tragedia della funivia del Mottarone, sulla quale farà luce, speriamo, l’inchiesta in corso. Due cose comunque sono pacifiche: l’una che le nostre funivie sono tra le migliori del mondo; l’altra che non si tratta di una “inevitabile fatalità”. E allora perché è accaduta? Ma partiamo dal principio.

Che le nostre funivie siano efficienti e sicure lo dicono la storia e la geografia: la storia, perché sono state tra le prime a entrare in funzione nel trasporto di passeggeri, e la geografia perché sono le più numerose, e coprono l’intero Paese dalle Alpi all’Etna. È significativo che nel settembre del ‘43, mentre l’Italia era in rovina, l’impianto di Campo Imperatore sul Gran Sasso funzionasse così bene che una parte delle truppe tedesche se ne servì per appoggiare i paracadutisti calatisi in vetta con gli alianti per liberare Mussolini. Quanto alla fatalità, di essa si può parlare solo quando l’evento è imputabile alla forza maggiore, come i terremoti o altre interferenze naturali. Le uniche, del resto, che abbiano funestato questi impianti, a parte la piratesca bravata dei piloti americani che hanno tranciato i cavi del Cermis. 

E allora torniamo alla domanda di prima: perché? Perchè una delle ipotesi è che la lunga pausa e l’esposizione agli agenti atmosferici - ad esempio temporali e fulmini - potrebbe aver logorato meccanismi delicatissimi. Che forse la troppa fretta nel rimettere in moto un sistema che il Covid aveva paralizzato, non ha consentito di controllare. Questo ci induce a qualche considerazione più generale. 

Nella nostra storia non avevamo mai assistito a un fenomeno pari a quello degli ultimi 15 mesi. C’erano state catastrofi immense, come gli oltre centomila morti del maremoto di Messina, ma erano episodi istantanei e circoscritti. C’erano state altre devastanti epidemie, come la spagnola, ma la vita, per varie ragioni, era continuata in modo normale. E naturalmente c’erano state le due guerre: eppure anche in quei foschi periodi tutto era proceduto - nei limiti del possibile - come se niente fosse: persino le compagnie di rivista continuavano, anche con il coprifuoco, a rallegrare gli italiani tormentati dai lutti, dalla povertà e dall’occupazione.

I film dell’epoca, per quanto controllati dal regime, ci mostrano un’Italia talvolta persino gioiosa. 

Con il Covid è stato tutto diverso: il Paese si è fermato, i locali pubblici svuotati, le relazioni sociali soppresse, i trasporti i ridotti al minimo, le strade e le piazze deserte, e ognuno di noi, nei pochi momenti di permesso concessi dalla semidetenzione, si è dovuto bardare come un palombaro e mascherare come un rapinatore. Il breve intervallo della scorsa estate non ha portato sollievo, ha solo aggravato i contagi ed esasperato l’inverno del nostro scontento.

Cosa c’entra la tragedia del Mottarone con tutto questo? C’entra perché il Covid, tra le altre cose, ha messo in evidenza la fragilità della nostra civiltà ipertecnologica, che come certi materiali è resistentissima alla pressione ma fragile all’urto. Sapevamo già che un’interruzione di corrente può farci piombare in una confusione paleolitica, accecando i computer e paralizzando ogni attività. 

Ora comprendiamo che alcune vittorie che sembravano definitive sono solo tregue precarie. Nella stessa medicina, al miracolo della produzione di vaccini in tempi rapidissimi si contrappone il blocco di interventi operatori e di indagini diagnostiche di cui solo il tempo dirà il costo in termini di vite e di patologie. Abbiamo imparato a correre, ma rischiamo sempre di inciampare.

E così, forse, è stato per la funivia incriminata. La sospensione prolungata di un congegno sofisticato può essere incompatibile con una sua immediata e incondizionata riattivazione. Questo vale per tutti gli esercizi complessi che ora stanno riprendendo fiato con velocità ed entusiasmo: dagli aerei rimasti a terra fino alle avveniristiche giostre dei luna park - e gli esempi potrebbero essere infiniti - ogni riapertura può essere fonte di pericolo se non viene gestita con prudenza e rigore. E lo stesso ragionamento deve essere applicato ai comportamenti umani, se - come sembra - oltre al malfunzionamento dell’impianto non si escluda anche l’ipotesi di un errore umano, ovvero la sciagurata dimenticanza di attivare il blocco che avrebbe potuto arrestare la cabina in bilico. 

Dobbiamo recuperare il tempo perduto, e dobbiamo farlo in fretta: ma sempre con la mano sul freno per evitare di precipitare, come ci ammonisce la tragedia di oggi e come ci insegnava l’Imperatore di ieri.

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