Pio d'Emilia
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La Tokyo a luci rosse: così si aggira la legge

La Tokyo a luci rosse: così si aggira la legge
di Pio d'Emilia
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Lunedì 10 Ottobre 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 00:03

La prostituzione in Giappone è ufficialmente vietata. Ciò non impedisce che il mercato più antico del mondo proliferi anche qui, e che cerchi di aggiornarsi continuamente per mantenere vivo l’interesse di una clientela sempre meno numerosa, distratta e attirata dalle mille altre alternative che a costi ridotti – se non addirittura gratis – offre la società digitalizzata.
Ad aggiornarci sui vecchi e nuovi aspetti del business è il mensile Playboy, edizione giapponese, che dopo aver dedicato un lungo reportage al fatto che su iniziativa del loro sindacato, tutti i 163 esercenti di Tobita, uno dei più antichi e famosi quartieri a luci rosse di Osaka, lo scorso 27 settembre hanno chiuso i battenti in segno di rispetto per i funerali di stato dell’ex premier Shinzo Abe, assassinato lo scorso luglio da uno squilibrato, fotografa la situazione attuale di quello che i giapponesi per bene – maestri dell’eufemismo – chiamano “mizu-shobai”, il business dell’acqua, ed il popolo invece “fuzoku”, “cattive maniere”.

In entrambi i casi ci si riferisce alle migliaia di locali, dai più cari ed esclusivi ai più modesti e fatiscenti che contribuiscono ad un fatturato, secondo i dati forniti dalla rivista, di quasi 30 miliardi di dollari. Il business dell’acqua – “fuzoku”, nella sua accezione popolare – comprende vari tipi di locale, la maggior parte dei quali, quantomeno nella forma (cioè nel “menù” che normalmente viene affisso all’entrata) cercano di rispettare la legge. Una legge curiosa, facilmente aggirabile, che nella sostanza vieta il “rapporto sessuale” tra sconosciuti in cambio di denaro.

 
Nei vecchi quartieri di Tokyo, Kyoto e Osaka il problema veniva e viene tutt’ora risolto con la sosta obbligata del cliente al piano terra, dove deve necessariamente passare qualche minuto a chiacchierare con la prescelta. 
Basta e avanza per “conoscersi” e far scoppiare il colpo di fulmine. Quanto al pagamento, può essere registrato almeno in parte come consumazione. Il resto mancia, che non è vietata dalla legge. 
Per i locali meno esclusivi basta evitare di fornire il “servizio completo”: la legge parla di “rapporto sessuale” e nell’interpretazione generale, se ci si ferma a semplici effusioni, viene generalmente considerato legale.

Di qui l’enorme varietà di “servizi” che offre il mercato, dai più tradizionali ai più fantasiosi, che non ci sembra il caso di elencare qui. 


Ma basta farsi un giro sulla rete, o consultare pubblicazioni locali come “poke kara” (acronimo per Pocket Paradise, il Paradiso in Tasca) o Deri Heru Manzoku per scoprire quanto sviluppata – qualcuno direbbe pervertita – sia la fantasia dei giapponesi. Quello che colpisce, tuttavia, è l’estremo ordine, gentilezza, sicurezza e “trasparenza” che regolano il business. Niente volgarità, violenze, truffe.

Gli eventuali “malintesi” vengono immediatamente risolti, in genere a favore del cliente, dai manager del locale e se non basta dall’ “oyabun” locale, il rappresentante della banda “yakuza” della zona, che vivendo sul pizzo ha tutto l’interesse che le cose filino lisce, in modo che i clienti si sentano protetti, continuino a frequentare i locali ed il fatturato aumenti. Al momento, mi spiegava Lee, un cinese che si è costruito la sua “rete” a Kabukicho, il quartiere più vispo di Tokyo, la pax mafiosa funziona alla meraviglia. 
Sono loro, i dipendenti delle varie cosche, che mantengono l’ordine, non la polizia. “Qui c’è posto per tutti: oltre ai padroni di casa, i giapponesi e noi cinesi, abbiamo bande di russi, polacchi, israeliani, nigeriani e vietnamiti. Basta che rispettino le regole, stiano al loro posto e sono benvenuti. Più siamo, più è garantita la sicurezza dei clienti e il nostro guadagno”. Pare funzioni.

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