Pio d'Emilia
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Tokyo, quanto è difficile trovare casa

Tokyo, quanto è difficile trovare casa
di Pio d'Emilia
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Lunedì 30 Gennaio 2023, 00:02

“Gaijin to petto Ok” : “Stranieri e animali domestici Ok”. E’ l’annuncio che tempo fa ho notato su una vetrina di un’agenzia immobiliare di Shibuya, uno dei quartieri più centrali di Tokyo. Lì per lì l’ho giudicato un po’ male, decisamente offensivo e discriminatorio.

E sono entrato per parlarne con il titolare. Ne sono uscito un po’ confuso, ma anche un po’ rassicurato. Il titolare dell’agenzia mi aveva (quasi) convinto: in un contesto dove il 70% degli stranieri che cerca casa riceve almeno un primo rifiuto e chi la trova è costretto ad accettare condizioni decisamente più onerose e spesso discriminatorie (depositi raddoppiati, obbligo di sottoscrivere polizze anti-morosità etc) il suo cartello in effetti potrebbe rappresentare un messaggio positivo. Vedete? Non solo accettiamo cani e gatti, ma persino stranieri. Il problema è quel “persino”. 


Trovare casa, specie nelle grandi città, in Giappone non è facile. Neanche per i giapponesi. Le case sono piccole, costruite con materiali di scarsa qualità, prive, anche quelle più recenti, di riscaldamento centralizzato. E il loro valore è come quello delle macchine. Appena ci sali/entri il loro valore si dimezza. Il Giappone è uno dei pochi paesi – certamente l’unico del G7 – dove il “mattone” non rende. Anzi. A parte il momento attuale, che ha acuito la crisi immobiliare e costretto migliaia di cittadini a vendere la casa perché incapaci di onorare il mutuo, è dalla fine degli anni ’80, l’epoca della grande “bolla”, che il valore di una casa, dopo aver terminato di pagare il mutuo, vale meno della metà di quando è stata acquistata.

Quello della casa – in tutti i suoi aspetti – è una delle emergenze che il governo giapponese si trascina da sempre, e che nonostante in passato abbia avuto la possibilità di affrontare, non ha saputo o voluto farlo. Il risultato è che i giapponesi sono il fanalino di coda dei paesi Oecd, per quanto riguarda la media di metri quadri a disposizione. Chiunque abbia avuto la possibilità di frequentare una “tipica” casa giapponese, specie nelle grandi città, non può non essere rimasto stupito per le dimensioni e per la qualità dei materiali: un impero di plastica, alluminio, compensato e cartongesso. 


C’è poi l’aspetto sociale. I giapponesi, almeno a casa loro, amano il silenzio. In un paese oggettivamente cacofonico, dove gli altoparlanti accompagnano i cittadini in modo spesso ossessivo, dove ovunque spuntano vocine sintetiche che impartiscono continuamente istruzioni, moniti e quant’altro, almeno la sera vogliono calma e tranquillità. I quartieri residenziali sono silenziosissimi: nei condomini non si sente il minimo rumore e quando qualcuno sgarra i vicini non battono sul muro, chiamano direttamente la polizia. La quale, dopo pochi minuti, interviene e ammonisce i disturbatori. 


E’ uno dei motivi per i quali – oltre agli stranieri (e agli animali domestici…) – c’è un’altra categoria poco gradita. I bambini. Molti annunci indicano specificatamente che non sono gradite coppie con bambini piccoli e neanche coppie appena sposate, visto che – anche se succede sempre di meno – potrebbero decidere di fare dei figli.
Per gli stranieri il discorso è diverso.

Intanto ci sono stranieri e stranieri, come del resto avviene un po’ dappertutto. Per un cittadino Usa o europeo, che ha un buono stipendio, è sicuramente più facile trovare casa rispetto ad un “sangokujin”, un cittadino di paese “terzo”, come ahimè spesso vengono chiamati gli stranieri di “serie B”: asiatici, mediorientali. Ancora peggio andava un tempo per coreani e cinesi – sono circa due milioni, la comunità straniera più numerosa - ma nel frattempo si sono arricchiti e la maggior parte ha risolto il problema acquistando la casa, anziché andare in affitto.


Attenzione, però. La difficoltà di trovare casa per gli stranieri, anche per quelli che dispongono di alti redditi e garanti affidabili, non è una forma, più o meno dichiarata, di razzismo. E’ piuttosto legata al concetto di “mendokusai”, un concetto chiave nella società giapponese e che può rendersi con l’idea di “fastidio”, “disturbo”. Rogna.


Pochi giapponesi, specie i padroni di casa che spesso sono persone anziane, che vivono nello stesso palazzo o in case vicine, parlano l’inglese. E pochi stranieri – anche se il numero è in continuo aumento – parlano il giapponese. Il problema della comunicazione esiste, e non solo per sollecitare un eventuale ritardo nell’affitto, ma anche per spiegare certe regole e fare in modo che vengano rispettate. Si va dal complicato sistema di raccolta dell’immondizia, al parcheggio di biciclette e passeggini per poi arrivare, appunto, ai rumori. “Gaijin furusai”: “Gli stranieri sono rumorosi” è un mantra ricorrente, al quale è difficile sfuggire. E i giapponesi – dal loro punto di vista giustamente – fanno tutto il possibile per evitare di trovarsi in una situazione di “mendokusai”.

Nel frattempo, la crisi demografica, il progressivo, apparentemente inarrestabile “saldo” negativo tra nascite e decessi sta liberando milioni di case (sono oltre 10 milioni, secondo dati ufficiali) e non solo nella campagne, dove oramai c’è la caccia alle “akiya” (“case vuote”), ma anche nelle grandi città. A Osaka, seconda grande città del Giappone, un gruppo di stranieri ha acquistato un immobile, ristrutturandolo con bagni, docce e cucine “abitabili” e affittandolo rigorosamente solo a stranieri. Animali e bambini ovviamente ammessi.

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