Piero Mei
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Tennis in rivolta/ Wimbledon “derussificato” un autogol contro la pace

Tennis in rivolta/ Wimbledon “derussificato” un autogol contro la pace
di Piero Mei
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Venerdì 22 Aprile 2022, 08:26

La “derussificazione” sta tracimando nello sport. Dopo il bando ottuso dei corsi di letteratura e cultura moscovita, eccola tracimare anche sull’erba di Wimbledon.
Perfino quel santuario dell’erbavoglio, il torneo londinese, il sogno di ogni tennista, si è iscritto a questa procedura che tradisce l’essenza stessa dello spirito olimpico, di quei Giochi nei quali il medagliere per nazioni è solo una curiosità mediatica, sempre contrastata dai sacerdoti di quello spirito, giacché gli atleti, si diceva, scriveva, sanciva, non rappresentano il Paese, le Olimpiadi non sono competizioni nazionali ma individuali, nelle quali nessuna discriminazione è ammessa per etnia, lingua, sesso, religione e quant’altro ci va discriminando.


Wimbledon con l’ostracismo ai russi numero due del mondo Medvedev e numero otto Rublev, ed alla bielorussa fedele alleata Azarenka, che fu numero uno, è l’ultimo di una lunga serie di organizzazioni di eventi o federazioni internazionali che cominciarono con togliere dal volante il pilota di Formula Uno, Mazepi, e spazzare via dal calendario il Gran Premio di Russia: quest’ultima cosa è comprensibile, tu aggredisci il tuo vicino ed io non ti faccio organizzare gare internazionali. Ma il pilota? Forse perché è figlio di un oligarca? Certo se tutti i “figli di” fossero messi al bando, sai quanti deserti.


A dire la verità, la decisione di Wimbledon non è stata l’ultima, ma la penultima, e altre ne seguiranno. Da quella gloriosa regata che è la Giraglia sono state cancellate le barche battenti bandiera russa o charterizzate dai russi: una sessantina di imbarcazioni che non navigherà di fronte alle bellezze tra Genova e Saint Tropez e non tanto per l’applicazione di quella norma che ha chiuso i porti alle navi di Mosca e che forse aveva più lo scopo di sanzioni che non quello di non regatare. Una sessantina di barche a vela, manco fossero la flotta del Mar Nero guidata da quell’incrociatore Moskva affondato da missili lanciati chissà da dove e chissà da chi.


La penultima, e altre ne seguiranno, perché al peggio non c’è mai fine, nemmeno nello sport. Il nuotatore Rylov è stato sommerso di critiche e ingiurie per aver partecipato alla tragica farsa di Putin nello stadio di Mosca. La considerazione che Rylov è un sergente dell’Armata Russa (basta una vocale per trasformare la gloria in infamia) e vive a Mosca se ha pesato sul comportamento del giovane, non lo ha fatto su quello dei facili censori.
Ha detto, con efficace sintesi, Adriano Panatta, che andò a giocare e vincere la Coppa Davis togliendola dalla già pronta bacheca di Pinochet e di quel Cile: «In Russia non andrei a giocare, perché è un Paese in guerra, ma proibire Wimbledon a Medvedev e Rublev, che oltre tutto si sono dissociati dalla guerra, è una stupidaggine».
La parola è perfino riduttiva: le squadre russe, anche quelle di club, sono state fatte fuori da ogni torneo; fortunatamente i giocatori russi impegnati all’estero continuano a poter lavorare, e dunque giocare: «A un ingegnere russo che lavori a Londra mica proibiscono di lavorare», è sempre copyright Panatta alla trasmissione cult “Un giorno da pecora”.


E poi non era uno dei mantra dell’Olimpismo (e dunque dello sport) che la politica doveva restare fuori dai Giochi? A Tokyo 2020 i russi hanno partecipato (e molto vinto) a titolo individuale, ma per punire quell’organizzazione sportiva dall’aver praticato il doping a livello di sistema.

Sono stati lasciati a casa solo gli atleti direttamente colpevoli. A Pechino 2022, sono stati rispediti a casa russi e bielorussi paralimpici, ragazzi e ragazze coraggio, privati di un sogno che li ha tenuti in vita dopo qualche disperante evento: avevano la sola colpa di un luogo di nascita. Come Medvedev, come Rublev, come Rylov, come i tantissimi altri che magari in cuor loro di Putin pensano tutto quello che molti pensano, a partire da Biden: che sia un “macellaio”. Ma che c’entrano loro? Da “l’importante è partecipare” a “l’importante è non farli partecipare”. Perché?

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