Giuseppe Vegas
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Il caso Taranto/ L’espansione della Cina e i nostri interessi

di Giuseppe Vegas
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Domenica 2 Aprile 2023, 00:14

Non ha avuto grande rilievo la notizia dell’acquisizione da parte di una socità cinese di una importante concessione commerciale relativa alla gestione della piattaforma logistica del porto di Taranto. Si tratta della Progetto Internazionale 39, il cui 34% è detenuto dall’Associazione per lo sviluppo economico e culturale internazionale e dal signor Gao Shuai, fondatore del Dragon Business Forum, che ha lo scopo di favorire i rapporti tra imprese italiane e cinesi essendone delegato dal governo di Pechino.
L’acquisizione, di per sé, potrebbe anche essere positiva. D’altra parte, i cinesi gestiscono da tempo in Grecia il porto del Pireo e recentemente si erano aperte trattative per una loro entrata in quello di Gioia Tauro. L’ingresso di capitali freschi e la promessa di nuovi traffici, soprattutto in realtà dove morde la crisi, è sempre bene accetta.


Tuttavia, in questo caso particolare qualche riflessione è doverosa. A poche centinaia di metri dalla concessione è ubicato il Comando Marittimo Sud della Marina Militare, insieme a quello de La Spezia il più importante ed operativo d’Italia, oltre ad essere la sede del Comando Sommergibili. 
Sempre a Taranto è anche collocato il Comando marittimo della Nato e la sede della Sesta Flotta americana. L’arsenale di Taranto riveste un’importanza fondamentale per il sistema difensivo nazionale e nelle sue acque, esterne (Mar Grande) ed interne (Mar Piccolo), sono ormeggiate parti importanti della nostra flotta: ad esempio è la sede della portaerei “Garibaldi”. 
Sotto il profilo strettamente militare, non si può non ricordare che la collocazione della flotta in quella realtà geografica comporta un elevato livello di rischio, come ci ricordano i fatti dell’attacco inglese dell’11 novembre 1940, che provocò la distruzione di tre delle sei corazzate italiane e il sostanziale blocco della flotta nel Mediterraneo. Per la cronaca, è provato che fu quell’incursione a fornire all’ammiraglio giapponese Yamamoto l’ispirazione per l’attacco a Pearl Harbour.


Non vi è dubbio che la concessione rivesta esclusivamente un valore commerciale e che chi la gestirà non avrà altro tipo di interessi. Ma siccome l’uomo prudente non si accontenta dalla sola cintura, ed è bene che indossi anche le bretelle, e dato che l’elettronica dei sistemi di trasmissione e di captazione delle comunicazioni è oggi assai raffinata, forse qualche cautela potrebbe risultare non del tutto insensata.
Va detto che alla gara per l’assegnazione della concessione non hanno preso parte soggetti nazionali, probabilmente in considerazione del fatto che, a causa della non rosea situazione del centro siderurgico e delle connesse difficoltà operative di molte imprese locali, risulta oggi alquanto complesso finanziare nuovi investimenti in quell’area. Ciò, malgrado il fatto che Taranto goda di una collocazione fortunata. Non solo perché dispone di un importante porto naturale, al cui potenziamento sono stati destinati 178 milioni dal Pnrr. Ma anche perché si trova in una posizione equidistante tra la dorsale tirrenica e quella adriatica: non a caso sempre il Pnrr stanzia più di 86 milioni per il miglioramento della linea che la collega con Bari e 400 milioni per la Potenza-Taranto. Circostanza questa che dovrebbe essere in grado di conferire al capoluogo ionico le prerogative di un importante centro intermodale di logistica, non solo per il Sud Italia, ma anche per l’instradamento delle merci verso Nord e per accorciare la strada del made in Italy. 
Tenendo conto delle potenzialità economiche di Puglia e Basilicata, si tratta di una occasione di sviluppo importante a livello nazionale, che non dovrebbe essere trascurata. Pena il rischio di spendere denari dei contribuenti italiani ed europei, senza ottenere un ritorno dell’investimento. O, peggio, di offrirlo su un piatto d’argento a chi ne può godere in modo tutto sommato casuale.
Tornando alla questione per così dire strategica, vale la pena soffermarsi sul tema del cosiddetto Golden power, cioè degli speciali poteri, attribuiti al governo da una legge del 2012, di porre il veto o di dettare specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni, da qualunque parte provenienti, nelle società operanti in settori strategici e di interesse nazionale, con particolare riferimento alla difesa, alla sicurezza, all’energia, ai trasporti e alle comunicazioni.


Vero è che in questo caso non si tratterebbe dell’acquisizione di un’impresa strategica, ma di un diritto a collocare sede ed uffici in un luogo strategicamente rilevante. 
Ed è pure vero che, con quanto sta avvenendo nello scenario internazionale, occorre molta cautela nel maneggiare i rapporti con il Paese del Dragone.

Ma forse non sarebbe avventato operare una riflessione sulla possibile esistenza di rischi, ancorché indiretti, che un giorno o l’altro potrebbero impattare su problemi di sicurezza nazionale solo perché si è tentennato a mettere mano alla leva del Golden power. 

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