Cecilia Lavatore

Giornata mondiale/ I giovani, i suicidi e quei vuoti tutti da colmare

di Cecilia Lavatore
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Domenica 20 Novembre 2022, 00:38

Sono sempre di più gli adolescenti a rischio suicidio. È l’allarme lanciato dall’Unicef in occasione della “Giornata Mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza” che si celebra oggi, 20 novembre. Un allarme fatto di numeri: quasi 46mila giovani tra i 10 e i 19 anni si tolgono la vita ogni anno. Più di uno ogni undici minuti. 
Ma cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Fragili, trascurati, inascoltati, custodi di una sofferenza scomoda e indicibile, da non esprimere, da nascondere come uno scandaloso segreto di cui vergognarsi da morire, fino a compiere i gesti più estremi: i giovani di cui parlano i dati sembrano attraversare quella terra di mezzo che è l’adolescenza, nella più totale solitudine, portando il fardello dei nostri tempi feroci, di cui pagano caro lo scotto, tra insidie e delusioni troppo spesso incodificabili e inaffrontabili, dalle quali proprio non riescono a difendersi.
Eppure, appaiono così sorridenti nei post dei loro social: «Vorrei somigliare anche solo un po’ alla persona felice che sembro nelle mie storie di Instagram», scrive in un tema V., 14 anni e un animo ben più profondo di ciò che resta appiccicato in superficie, sullo schermo piatto del suo cellulare; migliaia di followers sul suo profilo e, forse, nessuno che sappia davvero chi è.

«Qualsiasi cosa ne sarà di me tra qualche anno, l’importante è che non faccio la fine di mio padre», C., 16 anni, certo solo di quello che non vuole diventare. «L’anno scorso mi sono lasciato con la mia ragazza, ho rubato lo Xanax a casa di nonna e l’ho preso, ma non una pasticca, tante. Mi hanno trovato svenuto sul letto e mi hanno portato in ospedale». F., 16 anni e un’enorme difficoltà ad accettare il dolore. Sono solo alcune delle tante voci che mormorano tra le pareti delle nostre aule ogni giorno, storie buone a spiegarci qualcosa ancora su questo urto lento che è l’adolescenza, su questo ferro rovente a pelle, su questo disastro che è crescere: quando tutto sembra in fiamme, estremo, quando tutto sembra ancora possibile. E, forse, è proprio questo il problema.

In tanti finiscono per perdersi nel percorso accidentato della maturazione, in questa lunga incubazione, in questo viaggio stravolgente, pieno di vita e pieno di pericoli. In troppi faticano a giungere a destinazione: scivolano ai margini della nostra epoca “liquida”, non trovano strumenti sufficienti per restare aderenti alla realtà, non individuano punti di riferimento a cui appigliarsi per costruirsi un’identità che sia stabile, risolta, ancorata; annegano nell’esubero di continui stimoli molto più digitali che culturali, restano con tutte quelle energie compresse, frustrate, mentre le loro grida di aiuto precipitano in caduta libera nel vuoto del “tanto rumore per nulla” in cui siamo immersi.

Le giovani generazioni ricevono sì, attenzioni, ma soprattutto quando il ruolo che ricoprono è quello di consumatori, quando i loro acquisti e le loro scelte gonfiano gli algoritmi e influenzano i flussi di mercato con quella foga di avere di più e di “essere come tutti”. Ma ci domandiamo mai quali siano i loro reali bisogni?
La pandemia non ha che peggiorato lo stato dei fatti, con un isolamento innanzitutto interiore e la percezione di un “male di vivere” che esige una cura ben più radicale dei soli psicofarmaci, spesso assunti con leggerezza, senza che siano accompagnati da un’efficace psicoterapia.

L’insicurezza è virale, da quella economica che alcuni conoscono in famiglia e che si prospetta nel loro futuro prossimo, a quella emotiva, con pochi spazi in cui manifestarla. Senza obiettivi chiari da raggiungere, qualsiasi sforzo rischia di rivelarsi inutile e l’esistenza insignificante.

Il disagio è per lo più impalpabile fino a che non esplode d’improvviso, disperato, tra i casi più sensibili. Ipnotizzati dalle luci appaganti dei cristalli liquidi, aggrappati alle bacheche dei social da scrollare finanche all’infinito, incantati dai piccoli fotogrammi di brevi video che si ripetono frenetici, ben più rapidamente di un battito cardiaco o di un ragionamento, i giovani hanno la sensazione che in questo gran caos tutto sia inutile e restano incastrati nei vetri dei loro telefoni come mosche in un barattolo pieno di richieste di approvazione e di affetto disattese o ignorate. Sono terrorizzati dal giudizio e dal confronto sano con l’altro, che poi non è che una versione diversa del sé.

Ad attenderli c’è una comunità di adulti alla quale probabilmente in molti non sono per niente convinti di voler appartenere. E se è vero che «l’inferno esiste solo per chi ne ha paura», riflettiamo e speriamo, allora, attraverso i versi di Fabrizio De André che in quella poesia che è “Preghiera in gennaio” scriveva: «Dio fra le sue braccia soffocherà il singhiozzo, di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte».

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