Maria Latella

Dopo i test Invalsi/ L’istruzione dei nostri figli e l’indifferenza della politica

di Maria Latella
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Giovedì 15 Luglio 2021, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 00:09

Gli azzurri hanno vinto gli Europei. Nel calcio siamo tornati forti. Ma la coppa che non acchiappiamo mai è quella dell’istruzione. Se, come fotografano i test Invalsi, uno studente su due dell’ultimo anno delle superiori non raggiunge il livello minimo, tra cinque o dieci anni questi stessi studenti impreparati saranno disoccupati. O, nella più rosea delle prospettive, laureati con profonde lacune. 

Non cerchiamo giustificazioni scaricando tutto sulla Dad, sulla didattica a distanza. Come riconosce con nettezza il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: «La scuola non giungeva al 2019 in condizioni splendide».
In realtà la scuola italiana non è in buona salute da un sacco di tempo ma purtroppo prima della pandemia il tema interessava poco. Negli ultimi trent’anni se n’è parlato solo all’inizio e alla fine dell’anno scolastico. A settembre titoli sulle Aule senza insegnanti. A fine maggio/giugno titoli sull’esame di maturità. Punto. Per il resto indifferenza. Vastamente condivisa: dalle classi dirigenti del Paese alla politica, perché i ragazzi per ora non votano e dunque…. Dunque la situazione è drammatica. Si temono giustamente i licenziamenti post pandemia. Come non capire che con questo livello di istruzione dopo i genitori condanneremo anche i figli alla disoccupazione? Sto parlando di chi parte svantaggiato, ovviamente. Chi ha la fortuna di poter contare su buone scuole pubbliche o chi va all’estero già dalle superiori non è toccato dalla questione. Ma gli imprenditori che cercheranno competenze, la P.A.

che cercherà giovani e fresche forze, a quali bacini pensano di poter attingere?


Dopo un anno di scuola a distanza i test Invalsi hanno il grandissimo merito di sbatterci nelle gelide acque di un bagno di realismo. Chi ha una famiglia che lo segue e vive al Nord non è stato più di tanto danneggiato. Chi vive al Sud e stava mettendocela tutta, magari amando matematica e scienze, ha subito una grave battuta di arresto. E vale soprattutto per le ragazze. Chi aveva già molte difficoltà prima, dopo la pandemia ha proprio smesso di frequentare o c’è rimasto ma è come se non ci fosse.
Il 45 per cento dei ragazzini delle medie inferiori non raggiunge il livello medio di conoscenza della matematica. Percentuale che sale al 60 per cento in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. In queste stesse regioni la metà degli studenti delle superiori non raggiunge la soglia minima di competenze in italiano e va perfino peggio con la matematica. In Campania, Puglia, Calabria e Sicilia l’80 per cento non è in grado di comprendere l’inglese. Ma anche nelle altre regioni non va molto meglio. Nel Lazio il 65 per cento di chi frequenta le superiori non capisce se gli si parla in inglese.


E ha ragione il ministro Bianchi: non è l’effetto della pandemia. E’ un processo in corso da anni. Nel 2014 un lettore scriveva al quotidiano di Varese chiedendosi come mai il concorso promosso dalla sua università (facoltà scientifica) fosse andato deserto. «Nel 1998 partecipai al concorso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare ed eravamo in settanta». Già: quanti danni sono stati fatti dagli anni Novanta in poi? Quanti messaggi sbagliati sono stati trasmessi alle famiglie e ai ragazzi? A proposito di concorsi. Il Messaggero ha raccontato di come in tanti non siano riusciti a superare quello indetto un mese fa dal Campidoglio. Il problema del reclutamento non riguarda soltanto il Centro-Sud. Un dirigente scolastico confida che nel concorso indetto in Lombardia per le cattedre di matematica applicata agli istituti tecnici sono passati solo in otto. «Eppure non erano test difficili», assicura.


Per essere pratici: un Paese con i livelli d’istruzione fotografati dai test Invalsi e confermati dalla modesta preparazione certificata dalle recenti bocciature nei concorsi della P.A., potrà pure ricevere le prime tranche dei fondi stanziati dal Recovery Plan ma non andrà lontano come potrebbe.
Si continua (a quanto pare inutilmente) a ripetere che le competenze Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematica) offrono possibilità di lavoro. Il 30 per cento degli annunci di ricerca di programmatori software e di personale It restano scoperti per più di sessanta giorni. 


Che fare? «Servirebbe misurare il livello di competenza degli insegnanti. Introdurre di nuovo gli ispettori scolastici che in Francia non sono mai stati eliminati» osserva il direttore di Skuola.net Daniele Grassucci.
Serve, di certo, tornare a insegnare in presenza. Vaccinandosi tutti, docenti, non docenti, studenti.
Serve, servirà, ricordare a tutti noi, dal decisore politico ai sindacati della scuola, dalle famiglie fino a chi ha la responsabilità di aver scelto la meravigliosa carriera di insegnante, quel che scrive l’economista americano David G. Blanchflower nel suo recente saggio Not Working: Where Have All the Good Jobs Gone? (Dove sono andati a finire i buoni lavori?): «Un buon lavoro rende la gente felice - osserva con disarmante semplicità Blanchflower - La disoccupazione abbassa l’autostima e peggiora la salute fisica e mentale».
Il sillogismo è prevedibile. Senza una formazione adeguata i buoni lavori non si troveranno. E senza un buon lavoro i ragazzi che oggi frequentano o hanno appena lasciato la scuola correranno il rischio di ingrossare le fila degli italiani depressi, in cattivo stato di salute, arrabbiati.
In questi giorni di esaltazione per le gesta degli azzurri e per il metodo dell’allenatore Mancini, la memoria va a un altro allenatore, l’Al Pacino di Ogni maledetta domenica: «Questa è una squadra, gentlemen. O si combatte ora come una squadra, o moriremo come individui».

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