Stefania Auci

La scuola al via/ La magia dell’inizio dopo l’incubo chiamato Dad

di Stefania Auci
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Lunedì 13 Settembre 2021, 00:00

Non ditemi che esagero, perché lo so e non me ne importa. Ma, quando sento l’odore delle gomme da cancellare nuove, unito a quello della colla della rilegatura dei libri intonsi e magari a quello dei colori a spirito, la girandola di emozioni che comincia a frullarmi dentro mi strappa sempre un sorriso un po’ ebete e un sospiro. La magia dell’inizio, la speranza di cominciare un’avventura, la promessa del cambiamento… poche cose al mondo mi hanno dato emozioni pari a quelle del primo giorno di scuola. Al riguardo, io, che tendo a dimenticare il mio numero di scarpe, sfoggio una memoria che ha del prodigioso. E infatti li posso ricostruire tutti (o quasi) i miei primi giorni di scuola: risento i saluti dei compagni di classe e il primo concerto scoppiettante dell’apertura delle merendine durante l’intervallo; rivedo le sedie scheggiate (una costante, dalle elementari al liceo) e le lavagne ancora lucide, nerissime, non pasticciate e polverose come sarebbero diventate di lì a qualche ora. E, senza troppa fatica, vado ancora più indietro – il mio primo giorno di scuola, ansia nel cuore e occhi sgranati – e poi mi slancio in avanti, arrivo ai primi giorni di scuola dei miei figli, con il passaggio dalle elementari – la loro manina sudata stretta nella mia – al liceo, segnato da un disinvolto cenno di saluto e da qualche borbottio.

Poi, ovviamente, ci sono i ricordi «dall’altra parte», cioè da quando sono diventata un’insegnante. Ma quelli sono più semplici, e forse un po’ meno suggestivi: gli auguri di «buon anno»; i visi abbronzati e non ancora tesi; l’abituale silenzio della sala professori rotto dalle chiacchiere sulle vacanze. Però anche lì, in quei momenti prima della partenza, ho sempre avuto l’impressione che sarebbe bastato un niente – un piccolo slancio di follia – e ci saremmo stretti tutti in un abbraccio di solidarietà, scambiandoci la silenziosa promessa di lavorare in armonia.

Vi sto raccontando tutto ciò perché è a questi ricordi che, all’inizio del nuovo anno scolastico, voglio aggrapparmi, nella convinzione che non siano solo pallide schegge del passato.

Alzo il muro di questi ricordi davanti al timore che mi pervade troppo spesso, in questi giorni: dopo due anni di Dad, di lontananza dagli alunni e dai colleghi, di difficoltà tecniche, di blocchi psicologici, di smarrimento (didattico e no) ho bisogno di pensare che, nel mio futuro, ci sarà un po’ della meraviglia che mi ha accompagnato da quando avevo sei anni e ho aperto il portone della scuola elementare Umberto di Savoia di Trapani. E, per riuscirci, sono disposta a tutto, persino a scambiare l’odore delle gomme nuove con quello del disinfettante. Voglio essere lì, in quel luogo, in mezzo ai ragazzi, accanto ai colleghi, e pazienza se dobbiamo stare un po’ lontani e con la mascherina. Perché questo promette (e fino a due anni fa ha mantenuto) il primo giorno di scuola: «Non posso sapere se sarà un anno facile o difficile, se ti annoierai o se ti divertirai. Però una cosa posso assicurartela: l’esperienza umana che stai per vivere è unica proprio perché ti porterà a confrontarti “fisicamente” con altre persone, a respirare la loro aria e i loro pensieri, a occupare uno spazio non più esclusivamente tuo, ad accettare l’altro, a uscire dal tuo guscio. Insomma: a vivere».

E se mi state dando della pazza perché ho appena fatto parlare il primo giorno di scuola, fate pure. Il Covid ci ha portato via due anni e, se è verissimo che dobbiamo agire con prudenza, è altrettanto vero che l’errore più grande che possiamo fare è quello di limitarci a sopravvivere, annegando in un mare di paura la speranza, l’immaginazione, l’allegria. Così dirò ai miei alunni quando entrerò per la prima volta in classe, quest’anno. Dirò loro che, anche se non sono materie ufficiali, anche se non ci saranno voti in pagella, quest’anno cercherò d’insegnare loro anche un po’ di coraggio e di fantasia. E sono certa che, come succede spesso, anche loro ne insegneranno un po’ a me.
 

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