Mario Ajello
Mario Ajello

Non solo canzoni/ Questa Italia del festival che vuole la buona politica

di Mario Ajello
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Giovedì 9 Febbraio 2023, 00:20

Il Paese è coeso e bada all’essenziale, senza farsi distrarre da polemiche politiche che lasciano il tempo che trovano e appassionano solo gli addetti ai lavori e ai livori e neanche tutti. Sta qui il messaggio di questo Sanremo - che si conferma essenza e rappresentazione dell’Italia - il cui inizio ha fatto il boom di ascolti e si prevede vada avanti così, con grande soddisfazione di tutti. L’essenziale significa dimostrare, come comunità nazionale e non solo come manifestazione canora, fiducia profonda nelle istituzioni e in chi al massimo grado le rappresenta. Il tripudio per la presenza l’altra sera del presidente Mattarella proprio questo dice e lo dice in maniera sincera e non retorica. 
Ma non solo. 

L’Italia del festival, quella presente all’Ariston e quella dei milioni di telespettatori e dei partecipanti all’evento via social, si fa protagonista di un legame vero con la propria storia nazional-popolare, incarnata sul palco specialmente da Gianni Morandi il quale, oltre a far coppia con l’Amadeus rassicurante e accogliente come un bel paesaggio della Penisola, per sovrappiù ieri sera addirittura era in trio per la prima volta con altre due icone dell’italianità: Massimo Ranieri e Al Bano.
I continui richiami sanremesi alla lunga storia di questo evento - ah quella volta nel ‘52..., e ricordi quando Nilla Pizzi...? - segnalano la voglia di riconoscersi in una memoria condivisa e di scambiarsela per andare avanti e non indietro. Valgono come conferma del desiderio di stare legati alle nostre radici e alla tradizione, ma in maniera tutt’altro che stantia, anzi mobile, aperta e perfino ironica (il medley con le più brutte canzoni di Morandi). 
E ancora: è rappresentazione e sostanza di un’Italia nuova, curiosa e concentrata sulle questioni sociali che ci riguardano, l’apertura alle voci di tutti, alle buone cause e alle diversità: da Chiara Ferragni che, piaccia o non piaccia il suo monologo, indossa la maglia con su scritto «pensati libera» (in difesa delle donne, del loro protagonismo e della loro vita contro ogni violenza) al trapper super fluido Rosa Chemical in scena ieri e, nella stessa serata, a Paola Egonu la campionessa italo-nigeriana di pallavolo simbolo d’integrazione. 
Non è, inoltre, concentrarsi sull’essenziale il voler stare dalla parte giusta della storia? Infatti il presidente Zelensky sabato nella serata conclusiva in qualche modo ci sarà (tramite lettera a Sanremo), anche se non ci si è sottratti al balletto video sì o video no che non è stato un bello spettacolo eppure segnala a sua volta un carattere nazionale, ossia lo scarso coraggio (don Abbondio è una maschera italianissima) con cui abbracciamo una causa ma in qualche modo la causa dell’Ucraina, ingiustamente aggredita, l’abbiamo abbracciata. 

Un altro dato importante che emerge è il seguente: la sicurezza con cui noi italiani viviamo ormai la dimensione internazionale e il mondo interconnesso, al punto che non sentiamo troppo il bisogno come in altre edizioni di Sanremo di dimostrarci super global (quasi assenti i soliti e costosissimi mega-ospiti internazionali, a parte ieri i Black Eyed Peas e sabato i Depeche Mode) e abbiamo la forza di starcene un po’ tra di noi in questo festival. Per conoscerci ancora meglio di quanto già ci conosciamo e per capire bene chi siamo in questa fase in cui l’Italia ha la necessità e le possibilità di rilanciarsi.
Insomma, l’identità nazionale che viene fuori da questo Sanremo è un’identità positiva e dinamica, non lagnosa e non ripiegata su se stessa.

E che segnala una predisposizione d’animo e una determinazione collettiva che la politica, invece di combattersi in scaramucce autoreferenziali e di degradarsi a propaganda, deve avere la capacità di cogliere come stimolo a giocare in grande.

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