Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Il nodo del gas/ Il nuovo asse russo-cinese e l’incognita democratica

di Paolo Balduzzi
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Sabato 26 Febbraio 2022, 00:07

Fino al 1989, le lezioni di “Economia pubblica” nelle università di quasi tutto il mondo insegnavano che l’attività economica di una nazione può essere libera, cioè delegata al mercato, oppure pianificata. E il mondo dell’epoca rappresentava bene questa divisione. A Est di quella che era una volta la cortina di ferro, nell’Europa orientale, nell’Unione sovietica e in Cina, si applicava il metodo centralizzato. Quegli stati, prevaricando le preferenze individuali e per garantire l’interesse nazionale, producevano beni e risorse per tutti e, nei casi più estremi, determinavano anche i livelli di consumo individuali. A Ovest, invece, si sviluppavano le economie di mercato. Dopo il 1989, questi riferimenti così immediati ed esemplificativi sono scomparsi e il mondo sembrava inesorabilmente destinato a diventare un mercato unico globale. Per gli amanti della storia del pensiero economico, era la realtà auspicata da Adam Smith, dove la ricchezza di ogni nazione avrebbe giovato della possibilità di estendere i mercati dei propri prodotti a tutto il mondo. Anche questa idea di mondo e di sviluppo è ora messa in crisi dal conflitto in Ucraina.

La Russia, importante partner commerciale dell’Europa, cui fornisce prevalentemente materie prime energetiche (gas e petrolio), ha implicitamente dichiarato che la questione ucraina è talmente importante da poter subire qualunque tipo di ritorsione economica da parte dell’occidente.
Certo, le sanzioni messe finora in campo non sembrano così minacciose. Ma non può essere passato inosservato come la Cina abbia subito approfittato della situazione, sia per motivi geopolitici sia per motivi economici. La Cina, economia sempre in crescita e dal costante appetito energetico, ha infatti tutto l’interesse a proporsi come partner alternativo all’Europa negli scambi commerciali con la Russia. E l’interesse è certamente reciproco visto che, meno di un mese fa, le due nazioni hanno firmato un accordo che prevede collaborazioni sempre più strette su, potenzialmente, ogni ambito possibile. Che questa nuova sponda non abbia avuto alcuna rilevanza nel segnare la decisione di Vladimir Putin non può restare certo solo una suggestione; vale dunque la pena di esplorarla come ipotesi reale. Vladimir Putin ha voluto indirizzare il mondo verso la formazione di due blocchi economici contrapposti, l’occidente (Europa e Stati uniti) e l’alleanza Russia-Cina?

Se così fosse, dal punto di vista economico, e soprattutto nel breve periodo, le conseguenze peggiori potrebbe subirle proprio l’Europa, al momento totalmente incapace di sostituire la Russia quale fornitrice di fonti energetiche e quindi destinata a subire sensibili peggioramenti negli accordi sui prezzi.

In questa visione, non è nemmeno da escludere che l’apertura commerciale dell’Ucraina rispetto all’Europa, impennatasi a partire dal 2020, abbia contribuito a far precipitare gli eventi. Anche la Russia ci rimetterebbe, certo: ma il mercato cinese, sia sul lato della domanda sia sul lato dell’offerta, appare talmente enorme da poter sostituire, tra qualche anno, quello europeo. Il problema russo, tuttavia, potrebbe essere un altro, vale a dire risultare la parte debole dell’accordo. La grande ricchezza russa di questo periodo sono le materie prime; è ancora una potenza industriale, ma in un contesto di progressivo indebolimento dei suoi settori principali, come la siderurgia. Il rischio è quindi quello di diventare essa stessa dipendente dalla necessità che la Cina continui ad acquistare le sue risorse energetiche. In secondo luogo, la Russia non appare francamente un buon mercato per la Cina. Benché infatti sia geograficamente il paese più esteso del mondo, ci sono solo 140 milioni di abitanti in Russia: non esattamente uno dei mercati più intriganti del pianeta.

Tanto più che ancora molto evidenti sono le disuguaglianze economiche nella popolazione. In altri termini, la Cina ha un mercato che vale 10 volte quello russo. Un accordo tra “impari” che, salvo sorprese, dovrebbe giovare soprattutto a Pechino. Ma allora quali sono i veri punti di unione tra Russia e Cina? Probabilmente, ricordandoci del mondo prima del 1989, entrambe condividono l’idea di uno Stato prevaricatore, non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista economico. Uno Stato che utilizza il mercato per gli scambi a livello mondiale ma che si guarda bene dal diffonderlo al proprio interno. Se questo può essere un elemento di somiglianza delle due visioni, esso lo è anche di debolezza di questa possibile alleanza. Nel commercio, la fiducia è tutto. E le democrazie, per quanto più ingessate dal punto di vista dello sviluppo economico, forniscono maggiore stabilità e certezza. In questo possibile futuro, quale sarà il destino dell’Europa? La vera questione non sarà tanto quella di trovare nuovi partner commerciali e nuovi sbocchi per i propri mercati - pure importante - quanto quella di definire il proprio protagonismo politico ed economico (e ci si augura non anche militare) nel mondo dei nuovi equilibri. Un protagonismo che non sarà mai possibile assumere senza maggiore coraggio nelle scelte fiscali e di politica estera. E andando sempre più a fondo proprio lungo quel percorso Cina e Russia sembrano aver abbandonato da tempo: quella dell’allargamento democratico delle proprie istituzioni. 

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