Mario Ajello
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La fine del tunnel/ Fame e orgoglio nella Capitale che prova a rinascere

di Mario Ajello
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Mercoledì 14 Aprile 2021, 00:03

Sono tornati i clacson, e non va bene. E’ tornata la fretta del fare, e va bene. I bus cominciano ad essere meno vuoti del solito. 

Il Muro Torto somiglia a quello che è sempre stato, con le auto che sfrecciano o stanno ferme. I baristi sono passati dal buio depressivo al «piano piano...». Piano piano il gigante Roma sta provando a rialzarsi. Un mix di speranza e di prudenza si respira girando nella Capitale. Dove non è più l’annichilimento da emergenza a dominare il paesaggio fisico e mentale - anche se come ricordava William Faulkner: «Il passato non è mai morto e in realtà non è mai passato» - ma si fa strada ben oltre lo scetticismo tipicamente romano e lo sconfittismo che non ci si può assolutamente permettere uno sguardo di fiducia per ciò che può accadere da ora in poi. 

Quello sguardo che traspare, per esempio, dagli occhi dagli anziani che aspettano nel centro vaccinale dell’Auditorium il proprio turno per la puntura, e le parole della gente in attesa sono come queste: «C’è finalmente la possibilità di vincere la battaglia. Perciò siamo qui a vaccinarci. Per noi, per tutti. Peccato soltanto che le balle anti-scientifiche su qualche vaccino abbiano rallentato questa corsa fuori dal tunnel».

All’università Roma Tre, e nelle altre, si sta ricominciando sempre più ad andare in presenza, contingentata com’è ovvio. I negozi di ferramenta che al tempo del lockdown erano restati aperti e si affollavano di romani bisognosi di sistemare meglio la casa perché quella sarebbe stata chissà per quanto l’unico spazio disponibile, ora sono pieni di persone che parlano così: «Devo fare gli ultimi lavoretti a casa. Perché tra poco, sempre in mascherina e non l’uno sull’altro, si ricomincerà a stare fuori, se saremo capaci di farlo». 

«La gente si sta a mori’ de fame», si sente ripetere in slang nelle vie del centro e di tutto il resto della città. La sensazione di aver toccato il punto più basso - 18mila attività hanno chiuso i battenti nel Lazio e l’80 per cento di queste a Roma - è quella che dà la forza per risalire appena si può. E i primi segni di ripartenza si avvertono qua e là. Il risveglio più lento è quello del centro - bisognerà aspettare, quando sarà, il ritorno dei turisti e si spera di un turismo più qualificato e più rispettoso della grande bellezza rispetto a quello di questi anni - ma anche qui si sente che l’atmosfera è cambiata, che si può essere (moderatamente, responsabilmente) più fiduciosi e che Roma ha tante partite da giocare - quella politico-amministrativa non è la sola ed è parte del generale risorgimento economico, sociale, culturale della Capitale - e forse l’emergenza è servita a ricaricarla.

Secondo quell’idea che uno come l’ex presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, statista che sentiva il polso del paese, esprimeva così: «Le crisi sono il prezzo da pagare perché le nuove idee, le nuove scoperte, i nuovi metodi di organizzazione del lavoro possano affermarsi. Senza le crisi, non avremmo avuto le ferrovie, le bonifiche e le città moderne». 

Se la città giusta a cui tutti tendiamo è quella in cui il bello si unisce al funzionante e il senso collettivo di identità si coniuga con la spinta comune a riprogettare tutto, questo forse è il momento di tentare. E a questo possono, devono, portare i primi barlumi di risveglio. Quelli che in una piazza del Popolo ancora semi-deserta ieri mattina facevano dire a un ragazzo che in bike sharing bici si avviava all’università: «Serve un nuovo moto di orgoglio civico. Se non ora, quando?». 

Girando nella città che sta vivendo la stranezza di un nuovo passaggio d’epoca, che non dimentica le sofferenze patite e ancora in corso ma si attrezza per il dopo, eccoci al Foro Italico, allo Stadio Olimpico (bypassando purtroppo lo stadio Flaminio, distrutto prima ancora del Covid ma guai a non battersi sempre di più per la sua rifondazione come gioiello architettonico e imperdibile pezzo di Roma). Foro Italico e Olimpico sono deserti pietrificati al momento, ma non vedono l’ora di rianimarsi. A partire dagli Europei di calcio, che sono alle porte, con le partite destinate a svolgersi alla presenza di pubblico contingentato, tampone all’ingresso e mascherina Ffp2 sul volto degli spettatori, delle maestranze e degli organizzatori. 
Gli Europei, nelle modalità possibili, e sullo sfondo nel 2025 il Giubileo, per cui la Capitale deve cominciare ad attrezzarsi da subito. E ancora più in là, la possibile candidatura all’Expo 2030. C’è anche tutto questo, oltre alla ripartenza della quotidianità, insieme alla conquista di una vivibilità nuova, magari più efficiente, più lungimirante, più consapevole per effetto dei dolori avuti e delle ferite ancora aperte, nella testa del gigante Roma che prova a risvegliarsi. Incrociando le dita.

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