Giuseppe Roma
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Roma, corsa verso l’Expo: perché la città può vincere questa sfida

di Giuseppe Roma
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Giovedì 30 Settembre 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:20

La candidatura ufficiale di Roma come sede per l’Esposizione universale del 2030, avanzata dal presidente Draghi, ha trovato l’unanime consenso delle forze politiche e dei principali candidati sindaco. La sfida parte, quindi, sotto i migliori auspici perché, per vincere, è indispensabile il coinvolgimento dei romani e un’ampia condivisione del progetto da parte delle componenti istituzionali, imprenditoriali e sociali della città. 

Dopo anni d’indifferenza, lo stato centrale fa un passo importante a favore della sua capitale, ed è un segnale che da forza alle tante energie vitali esistenti a Roma, anche nella consapevolezza che questa opportunità rappresenta l’ultima occasione per risalire la china. I tempi stringono: abbiamo attorno ai tre anni per preparare il Giubileo del 2025 e vincere l’Expo poco più per realizzare gli interventi del Pnrr. Possiamo farcela perché i fondamentali dell’area romana restano solidi nonostante le crisi subite. Roma, infatti, è una delle più grandi metropoli europee per popolazione e la sua estensione territoriale rende possibile un equilibrio fra le aree urbanizzate e quelle naturali, indispensabile in una visione sostenibile della città post-pandemica. Il suo ruolo istituzionale di tripla capitale la pone al centro di durature relazioni internazionali e lo si è visto con il G20. E’ uno straordinario polo per ricerca, formazione e tecnologie, ovvero le “materie prime” per lo sviluppo futuro. Rappresenta un insuperabile brand di storia, bellezza e cultura come pochi altri al mondo. 

Gli eventi come l’Expo possono aiutare nel mettere in valore questo patrimonio che, negli ultimi anni, abbiamo poco utilizzato per creare benessere e occupazione. Roma non ha bisogno di essere conosciuta nel mondo, a differenza del porto di Busan nella Corea del Sud, che ha già presentato la sua candidatura per il 2030.

Certo attrarre grandi flussi di visitatori per sei mesi ha un valore economico, come pure la costruzione del quartiere espositivo. Ma il vero senso da dare a questo programma è quello di cambiare registro su alcuni aspetti di fondo che penalizzano la città. Innanzitutto, rendere la capitale accogliente, certo per le persone, ma soprattutto per gli investitori che intendano realizzare attività produttive, università, centri di ricerca, ovvero nuova offerta ricettiva, residenze o localizzare le sedi direzionali di grandi imprese proiettate nel Sud Europa e nel Mediterraneo.

Nel pieno rispetto delle regole e della trasparenza dovremo imparare a rendere Roma città aperta agli investimenti che sono la linfa vitale di ogni grande metropoli. Troppo a lungo le istituzione hanno dato l’impressione di non essere interessate alle proposte di intervento, manifestando una diffidenza respingente o tempi di decisione incompatibili con le logiche imprenditoriali. I grandi eventi erano un tempo occasioni per accrescere la spesa pubblica e utilizzare procedure speciali. Si esaurivano una volta conclusi. Il modo moderno per progettare un Expo, invece, è quello di individuare innanzitutto cosa farne “dopo” l’ottobre del 2030, quando si spegneranno le luci e gli espositori torneranno nei paesi di origine. Da li bisogna partire per individuare dove localizzare il quartiere espositivo, quali infrastrutture e servizi realizzare.

Mettiamocela tutta per fare un lavoro serio, professionale e creativo, senza dimenticare che un grande evento ce lo hanno già assegnato fin dal 1300, quando Bonifacio VIII per ridare slancio all’economia romana dell’epoca inventò il Giubileo ogni quarto di secolo. Il prossimo è dietro l’angolo.

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