Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Ripresa autunnale/ L’educazione civica torni protagonista nelle scuole

di Paolo Pombeni
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Venerdì 20 Agosto 2021, 00:06

L’anno passato la discussione sulla scuola sembrava concentrarsi sui banchi a rotelle o almeno singoli. Quest’anno si parla quasi solo di green pass per gli insegnanti e di controllo della positività al Covid sugli studenti. Cose importanti, nessuno lo nega, ma non è singolare che dopo un anno e mezzo di scuola devastata dalla Dad e dall’esperienza generale del confronto con una inattesa pandemia non ci sia spazio per riflettere sui temi “educativi” fondamentali a cui dovrebbe essere chiamata una scuola che torna ad agire finalmente “in presenza”?

La pandemia ci ha messo di fronte come società a problemi notevoli e fra questi ci sono indubbiamente anche le carenze di educazione alla convivenza sociale, alla cittadinanza responsabile, alla solidarietà sociale. Chiamatela come vi pare, ma in fondo si tratta di quella che dovrebbe essere “l’educazione civica” che Aldo Moro ministro dell’istruzione introdusse a fine anni Cinquanta e che è sempre stata una cenerentola, abbandonata e di recente rilanciata a parole senza grande consapevolezza sui contenuti.

Eppure proprio l’esperienza del Covid ci ha messo drammaticamente di fronte al conflitto fra la partecipazione alle responsabilità che impone il far parte di una comunità sociale e politica e gli impulsi a considerare il singolo arbitro di tutto e non tenuto ad alcun rispetto delle conseguenze delle sue azioni (fatte passare per “libertà”, ma quella è un’altra cosa). La difficoltà di convincere una parte almeno della popolazione (per fortuna minoritaria) ad adeguarsi ai comportamenti che sono ragionevolmente considerati in grado di ridurre la pericolosità della pandemia (mascherine, vaccini e quant’altro) è sotto gli occhi di tutti, e molti si chiedono come si farà a convincere i riottosi senza ricorrere alle imposizioni d’autorità.
Forse bisognerebbe cominciare a dire che è davvero una questione di educazione. Se non c’è uno sforzo per “confermare nella fede” coloro che hanno accettato di sentirsi parte del vivere in comunità sociali, è ovvio che i riottosi continueranno a sentirsi una avanguardia più intelligente e scaltra e non recederanno dalle loro posizioni. Ovviamente ci sarà poco da fare coi fanatici, ma con una parte non piccola che li segue perché tutto sommato li vede “rispettati” da molti ambienti bisogna rendere chiaro che si tratta di comportamenti contrari all’etica pubblica, comunque la si voglia intendere.

E’ chiaro che la scuola ha un ruolo importante nel rendere “comune sentire” un certo modo di affrontare la vita sociale.

All’origine della III Repubblica francese, negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, gli insegnanti vennero considerati i missionari della rivoluzione istituzionale che doveva portare il paese fuori dai modi di intendere dei precedenti regimi. Senza mitizzare questi riferimenti, che certo avevano anche aspetti problematici, vorremmo dire che anche oggi gli insegnanti di ogni ordine e grado andrebbero considerati i missionari di una ri-educazione alla vita collettiva dopo il trauma della pandemia. Naturalmente preoccupa, e non poco, che una parte di essi, che per fortuna non sembra gran cosa, si collochi sull’altra parte della barricata, fra coloro che diffondono sciocchezze su inesistenti dittature sanitarie, su diritti inventati a fare quel che singolarmente uno crede giusto, e via dicendo. E non è tranquillizzante che questa gente trovi una solidarietà pelosa nei sindacati, probabilmente perché una quota dei loro quadri fa parte di quella cultura cosiddetta antagonista per cui ogni cosa che viene da un presunto “potere” è un attentato alle libertà.

La capacità educativa della scuola va oltre i ragazzi. Infatti quel che essi imparano sui banchi in materie di interesse generale arriva anche alle famiglie e alle loro reti di relazione. Magari in forma dialettica, perché non si tratta di un “verbo” che si trasmette in automatico per autorità, ma nella discussione generalizzata che finalmente tratti non di singole questioni, ma dei principi generali che tengono insieme un sistema sociale e politico. Sarebbe un bel salto di qualità.

Rientrerà in questa nuova educazione civica anche una ripresa del tema del rapporto con la “scienza” che è stato uno dei punti dolenti in questa crisi pandemica. Superare le superficialità che hanno reso alla moda il mostrarsi critici e dubbiosi verso una scienza che indubbiamente, vogliamo ammetterlo, aveva anche più volte prevaricato per scopi non limpidi, sarà un altro obiettivo di fondo. Se non è la scuola ad insegnare cosa significa davvero “pensiero critico”, chi lo farà?

Ci parrebbe un bel programma per la riapertura in autunno. Che non può venire solo dal ministero, perché da un pezzo non è più tempo di dirigismo d’autorità, ma dalla spinta della migliore opinione pubblica consapevole che siamo di fronte ad una svolta importante.

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