Va abbastanza di moda imputare tutto alle risorse destinate alla sanità che sarebbero lontane da quanto necessario. Ancora una volta in generale è vero, in dettaglio magari sarebbe opportuno chiedersi dove stiano gli sprechi per negligenza e quelli per compiacere anche domande localistiche che vengono dall’opinione pubblica e che i politici più che altro cavalcano (in vari casi guadagnandoci anche un po’, ma questo non è il punto centrale, per quanto sia riprovevole). Forse è in questa direzione che va l’autorevole appello lanciato ieri dal presidente Mattarella. Il grande problema che appare a un non tecnico come il sottoscritto, ma che con la sanità ha avuto come molti a che fare, è la necessità di programmare un sistema che unisca una forte struttura di territorio ad una creazione di poli di grande eccellenza che non possono essere numerosi più di tanto.
Partiamo pure da quest’ultimo punto. Con i progressi della medicina che consentono di affrontare problematiche fino pochi anni fa non aggredibili è assolutamente importante avere grandi centri con le attrezzature adeguate e il personale altamente qualificato che serve per portarle al livello di eccellenza. Indubbiamente ciò pone il problema di retribuire adeguatamente questo personale, sia a livello medico, che infermieristico, che di supporto tecnico.
Ma quando si pone questo tema la preoccupazione è che si crei un meccanismo per cui una massa di persone si pretendono luminari di chiara fama con pretesa di guadagnare a quel livello. È un fenomeno già visto e non solo nella sanità, però non ci si può fermare per questo, altrimenti è inevitabile che i grandi complessi in grado di trattare i casi importanti per non dire quelli che sfiorano i livelli quasi sperimentali della medicina saranno attivati o all’estero o da parte della sanità privata, che naturalmente non è il demonio, ma che, per ovvie ragioni, non può essere in grado di offrire quell’eguaglianza di trattamento alle fasce meno abbienti prevista dalla nostra Carta. Può farlo in casi limitati ed emergenziali, ma si capisce che non è quanto sarebbe ottimale.
Accanto al tema della medicina ad alta, talora altissima specializzazione, sta quello della assistenza diffusa. Da un certo punto di vista è un tema persino più grave, perché magari con sforzo e con notevoli difficoltà molti possono in qualche modo cercarsi i centri migliori (sta già avvenendo con i cosiddetti viaggi sanitari della speranza), mentre il medico di base è ormai quasi un’imposizione soprattutto nelle sedi fuori delle città dove un territorio ne ha uno solo, sicché prendere o lasciare.
La pesante esperienza della pandemia di Covid ha mostrato quanto costi la debolezza di un sistema con medici che devono trattare migliaia di pazienti, quasi sempre privi di supporti, sicché non solo le visite a domicilio sono un vago retaggio del passato, ma in genere finiscono troppo spesso per essere ridotti a burocrati che compilano ricette di routine (peraltro con i controlli di altri burocrati che esaminando solo numeri continuano a chiedere meno prescrizioni di visite specialistiche e meno prescrizioni di medicine) La difficoltà anche solo di rimpiazzare i medici di base che vanno in pensione, così come la fuga dai pronto soccorso ospedalieri, segnala lo stato precario di quella assistenza sanitaria diffusa che è stato uno dei perni della rivoluzione moderna.
Anche qui non si può ridurre tutto ad una mera questione di numeri: dei pazienti in cura e degli emolumenti che i dottori ricevono. Certo ci sono anche quelli, ma in un contesto in cui la mobilità è divenuta molto alta e ci sono immissioni di soggetti che vengono da contesti geografici molto diversi il problema tanto della formazione quanto dell’aggiornamento professionale continuo nei servizi di medicina territoriale dovrebbe essere un obiettivo da studiare e programmare con cura.
Ovviamente se i problemi che abbiamo schematicamente elencato sono visibili anche ai non tecnici, la loro soluzione va affidata a chi ha le competenze necessarie. Si deve però evitare che diventino questioni di corporazione, per cui le soluzioni sono pensate avendo in mente le esigenze e gli equilibri di quelle, piuttosto che le necessità dei cittadini-utenti.
Non è un problemino da poco per la classe politica nel suo complesso. Da un lato le rilevazioni demoscopiche registrano che, a causa anche della pandemia (forse alle spalle, ma non sappiamo quanto definitivamente), la questione della sanità è in cima alle preoccupazioni dei cittadini, dall’altro si tratta di un ambito che coinvolge un sistema intrecciato di pubblico e privato, di competenze centrali e competenze regionali e talvolta anche comunali.
Serve dunque che si ponga mano a queste problematiche col più alto livello possibile di collaborazione e condivisione fra le diverse sedi: politiche, professionali, di opinione pubblica.
Una buona riforma sanitaria sarebbe un pilastro formidabile per la costruzione di un Paese che si riconosce capace di gestire quello che una volta si sarebbe definito il bene comune.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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