Ruben Razzante
Ruben Razzante

Rete avvelenata/ I discorsi dell’odio e le colpe di chi li ispira

di Ruben Razzante
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Giovedì 15 Dicembre 2022, 00:09

Mentre nel mondo sembrano moltiplicarsi i conflitti e le manifestazioni di intolleranza, può apparire velleitario provare a frenare la circolazione di messaggi d’odio in Rete. Eppure, per realizzare una democrazia digitale matura e inclusiva occorre intervenire al più presto sulle ragioni che stanno determinando un progressivo inquinamento dello spazio virtuale, a scapito della tutela dei diritti umani e della coesione sociale.
Il tema dell’odio digitale è ormai stabilmente all’ordine del giorno nel dibattito pubblico, complici le costanti incursioni di haters che avvelenano il web e i social con insulti di ogni tipo, aggressioni verbali e inquietanti minacce.

La Rete sembra diventata lo specchio dei sentimenti deteriori che albergano nell’animo umano e che trovano negli innumerevoli canali digitali un luogo di libero sfogo, spesso privo di sanzioni e revisioni.
Quanto accaduto alla senatrice a vita Liliana Segre è emblematico del furore iconoclasta che domina in alcune aree dell’ambiente virtuale. La senatrice è stata di parola e, come preannunciato tempo fa, ha denunciato gli haters che l’avevano presa di mira, rivolgendole accuse infamanti, minacce violentissime e perfino auguri di morte, trincerandosi dietro l’anonimato che i social sono in grado di garantire alle persone vili e agli sciacalli del web. 

Il diritto è certamente dalla parte del bersaglio di attacchi di questo tipo. Inoltre, la denuncia della senatrice, al di là delle evidenti ragioni giuridiche, assicura un contributo autorevole alla battaglia contro l’hate speech, che vede in prima linea anche l’Unione Europea. La Commissione Ue, nel Settimo Rapporto sui discorsi d’odio, ha sottolineato l’importanza cruciale del rispetto dei diritti delle minoranze, contro ogni discriminazione e intimidazione, e ha “bacchettato” alcune piattaforme come Twitter, che spesso hanno dimostrato di voltarsi dall’altra parte di fronte a denunce di messaggi d’odio, non rimossi tempestivamente e dunque in grado di ristagnare nell’aria sempre più tossica dell’ecosistema digitale.

Tra i rappresentanti delle istituzioni e i personaggi pubblici finiti nel mirino degli haters c’è stata anche Giorgia Meloni, minacciata di morte da anonimi odiatori che non hanno gradito la sua idea di mettere in discussione il reddito di cittadinanza, paventandone la soppressione a partire dal prossimo mese di settembre. «Se togli il reddito ammazzo te e tua figlia». «Ci vuole la morte di lei e sua figlia». «Veramente attenta, finiscila co’ sta cosa di togliere il reddito di cittadinanza senno’ ti ammazzo ma lo capisci?». Sono questi alcuni dei messaggi riportati dall’account Twitter di Fratelli d’Italia, postati da un’utente, poi identificato dalla Polizia. Si tratta di un disoccupato siciliano di 27 anni, ora indagato per violenza privata aggravata nei confronti del premier. 
Questi e altri episodi confermano che quella dei discorsi d’odio è una vera e propria emergenza, che rischia di infestare il mondo del web e dei social e di compromettere la tenuta sociale e la stabilità delle istituzioni democratiche.

La dimensione digitale è sempre più dominante nelle vite di cittadini, famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni, ma non è sufficientemente disciplinata da norme e codici di comportamento.

Più che altro, il concetto di responsabilità rimane sovente aleatorio e per individuare i colpevoli di comportamenti violenti in Rete le autorità devono muoversi sulle sabbie mobili dell’indeterminatezza dei confini di diritti e doveri. Ad esempio, è fondamentale perseguire gli autori di espressioni di intolleranza rivolte contro figure di spicco della vita pubblica o contro determinate categorie di persone, spesso minoranze organizzate. 

Tuttavia, occorre essere ugualmente intransigenti nei confronti di chi incita all’odio, fomenta le tensioni, stimola gli istinti più crudi e violenti di soggetti in condizioni di disagio e difficoltà, scatenandone pulsioni irrefrenabili e distruttive. In altre parole, occorrerebbe a volte chiedersi se sia da censurare esclusivamente il commento diffamatorio, oltraggioso e minaccioso o anche una bellicosa dichiarazione ufficiale o un proclama solennemente populista di un leader politico che in molti casi diventa il detonatore della violenza in Rete.
Contro un fenomeno così globale e che sembra privo di argini forse ci sarebbe bisogno di pene esemplari anche per chi “avvelena i pozzi” e specula sulla rabbia popolare per far salire il suo gradimento elettorale. Come se un sondaggio potesse valere più del rispetto della dignità della persona.

Riflettano le istituzioni europee e nazionali su interventi immediati per frenare la nuova ondata di odio in Rete. È fondamentale che editori e piattaforme si buttino a testa bassa nelle provvidenziali iniziative di moderazione di contenuti indigesti e offensivi. Altrettanto imprescindibili appaiono interventi di autodisciplina da parte degli utenti e delle associazioni da anni impegnate a diffondere la cultura digitale. Non si dimentichi, però, che la tentazione della provocazione è quanto di più lontano possa esistere dal senso civico e dal bene comune che chi gestisce la cosa pubblica è chiamato a incarnare e coltivare, prima e al di sopra di ogni trama e brama di potere. 

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