Carlo Nordio
Carlo Nordio

Raffaella Carrà, verve ed erotismo formato famiglia

Raffaella Carrà, verve ed erotismo formato famiglia
di Carlo Nordio
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Martedì 6 Luglio 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 00:08

Nella prima metà degli anni Sessanta il cinema internazionale era dominato dai colossal di guerra. Il monopolio era detenuto, ovviamente, dagli americani,seguiti a ruota dagli inglesi con qualche tentativo, peraltro ben riuscito, di emulazione francese. Questi film avevano in comune una presenza e un’assenza. La prima era rappresentata dal’eroismo dei protagonisti, cioè dei vincitori. La seconda dalla rigorosa mancanza di sesso. I ruoli femminili erano marginali, e del tutto svincolati da ogni pretesa di seduzione.

 
Un’eccezione fu Irina Demick, che nel “Giorno più lungo” esibisce un’audace scollatura al solo fine di distrarre le sentinelle naziste. Un’altra fu Raffaella Carrà, che nel “Colonnello Von Ryan” mostra con mal dissimulata malizia quelle gambe che anni dopo l’ avrebbero resa un’icona della Rai.

 
In queste ore gli addetti ai lavori staranno raccogliendo, e selezionando, le immagini più significative di oltre cinquant’anni di onorata carriera di Raffaella. Credo che sarebbe un bell’omaggio recuperare quelle immagini che hanno turbato le nostre anime di adolescenti, recatici al cinema per vedere la guerra e usciti dalla sala con gli ormoni in subbuglio. 


Fu un caso isolato. In seguito, la Carrà compì la straordinaria impresa di esibire le nudità comprimendo l’erotismo. Forse per questo la Rai con lei fu così indulgente. E così iniziò una vera e propria rivoluzione. 


A quel tempo la Tv era invischiata in una melassa ipocrita e bacchettona. Alcuni anni prima Alba Arnova, una bella soubrette politicamente sponsorizzata, era stata allontanata perché si era esibita in un costume color carne; il Vaticano aveva tuonato e la trasmissione sospesa. Le statuarie gemelle Kessler, che al Lido si esibivano seminude, erano compresse in calzamaglie di grossolana canapa scura. Gli sceneggiati mostravano furti, assassini e tutti gli altri peccati capitali: ma il sesto comandamento era gravato da una plumbea tutela, resa più efficace da una scrupolosa vigilanza preventiva e, se necessario, da un’ inesorabile repressione.


Raffaella Carrà fu il simbolo di un cambiamento radicale.

Fu aiutata dallo spirito del tempo, perché dal ‘68 in poi i costumi cambiarono rapidamente; ma il merito maggiore fu della sua inimitabile verve, che addolciva con il sorriso e l’autoironia ogni gesto o allusione che altrimenti sarebbero sembrati volgari. Era troppo solare per essere provocante, troppo intelligente per essere maliziosa e troppo agile per esser languida. Non concedeva nulla all’ “infame serraglio dei vizi” che eccitano le fantasie dei debosciati libertini, o le morbose curiosità delle anime represse. Entrava nelle case il sabato sera esibendo un corpo elegante, che nemmeno la bigotteria più minuziosa avrebbe osato criticare. Era ammirata dalle madri di famiglia che abbandonavano ogni arcigna gelosia davanti a tanta esuberante spontaneità.

 
La sua capacità mimica e la duttilità atletica le consentirono di infrangere le barriere dell’inviolabile lazzaretto dove erano confinate le altre soubrette, costrette a mortificanti limitazioni. Anche per lei ci furono mugugni, proteste, e tentativi di censura. Ma finirono presto, perché anche i più arcigni baciapile capirono che la tentazione non risiede nella pelle che si mostra ma nel messaggio che con cui il cervello ne trasmette la dinamica. E il messaggio di Raffaella era una festosa danza di sillabe musicali, dove il corpo interveniva come interprete di una natura invitante e benevola, come il canto di riconoscenza nel finale della Pastorale. L’anoressica Maya Plisestkaya, mentre balla in tutù il “Bolero” di Ravel, è, per dirla con Shakespeare, mille volte più “straccialenzuola”della nostra Raffaella mentre si fa toccare l’ombelico da un imbarazzatissimo Corrado.

 
Così, mentre le diamo l’ultimo addio, la nostra mente ritorna commossa a quei primi esitanti tentativi di portare l’amore, anche nella sua dimensione tattile e fisica, nella tranquillità delle famiglie riunite la vigilia del dì di festa. Raffaella sostituì i piagnucolosi mandolini di malinconiche orchestrine con l’effervescente vivacità di un esuberanza vitale, fresca di ottimismo e di castigata avvenenza. Anche se, memori delle nostre impressioni adolescenziali, rimpiangiamo di non averla più vista come è apparsa, mentre si sfila le calze, nel “Colonnello Von Ryan”.

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