L’estate della violenza: da Palermo a Caivano, l’agosto del 2023 ci ha ricordato quanto sia profondo il degrado ambientale di certe aree del Paese e come esso sia causa del baratro morale di certe fasce della popolazione giovanile.
Gli stupri perpetrati contro ragazze fragili hanno proiettato di fronte a tutti gli italiani un film conosciuto ma forse dimenticato: gli effetti della miseria morale, la colpevole assenza di strutture della socialità, la solitudine e insieme l’arbitrio dell’era social, che trasforma persino un telefonino in uno strumento di tortura. E bene ha fatto Giorgia Meloni a lanciare una vera e propria battaglia nazionale contro il degrado di “tutte le Caivano d’Italia” che, come ha osservato Luca Ricolfi su queste colonne, non si trovano certo solo al Sud ma anche (e forse di più) al Nord.
Occorre un “vasto programma” di nuove bonifiche territoriali, di nuove strutture civili, di nuove leggi e di nuove pene. Come il Daspo urbano che, assieme ad altre misure, il governo si appresta a varare. Tutto sacrosanto. Ma chiediamoci: basta il “degrado” a spiegare comportamenti così estremi, che denunciano la totale latitanza di ogni “senso del limite” in diffusi settori dei giovani italiani? Non credo.
Probabilmente siamo di fronte a un fenomeno ancora più rilevante che chiama in causa l’intera cultura nazionale: il progressivo estinguersi di ogni “principio d’autorità”. Nello Stato, nella famiglia, nella scuola. Tutti luoghi che, con percorsi storici distinti, e per diverse ragioni, hanno cessato di trasmettere l’educazione al rispetto delle norme e il conseguente senso del dovere lasciando, soprattutto i più giovani, orfani di ogni pedagogia comportamentale. Perché senza alcun “principio d’autorità” nessuna convivenza civile potrà mai essere garantita. La crisi d’autorità dello Stato è figlia di una storia assai lunga. Per lunghi secoli in attesa di una loro nazione, gli italiani non hanno mai abbandonato un latente senso di diffidenza nei confronti dello Stato, visto come “amico” solo in periodi eccezionali (nel dopoguerra ad esempio) più spesso invece vissuto (e non senza qualche ragione) come ostile e oppressivo. La massiccia evasione fiscale è anche figlia di questa antica avversione.
È nostra convinzione, infatti, che le regole valgano sempre e solo per gli altri, mai per noi.
Certo, si aprì allora la vittoriosa stagione dei diritti: e gli effetti sarebbero stati solo positivi se, contestualmente, non si fosse affermato un completo azzeramento del concetto di dovere . Il “principio d’autorità”, sia nella famiglia che nella scuola, venne vilipeso e alla fine travolto: ma, ecco il punto, non fu sostituito da nessuna nuova tabella dei diritti e dei doveri. L’unico esito fu la resa alla certificata irrilevanza dei “vecchi” concetti di educazione e di istruzione.
Non c’è allora da stupirsi delle ripetute controversie di oggi nelle quali i genitori diventano sindacalisti delle bizzarrie dei propri figli e gli insegnanti vengono considerati alla stregua di baby sitter. Intendiamoci: non tutte le famiglie e non tutte le scuole si arrendono a tale destino. Tantissimi sono i genitori e gli insegnanti che credono ancora nella loro funzione educatrice. Ma se tanti ragazzi non sanno più cos’è il senso del limite, e lo oltrepassano persino mostrandone vanto, vuol dire che, oltre a quello delle periferie, c’è anche un degrado più grande e difficile da sanare: ricostruire una convivenza governata da nuovi e credibili principi d’autorità.
Tra l’altro non è affatto escluso che gran parte dei consensi raccolti da Meloni siano originati proprio da questa silenziosa ma diffusa convinzione. Perché se non si crede nelle regole dello Stato, se si perde confidenza con la famiglia e con la scuola, se i genitori abdicano al proprio ruolo, sarà poi quasi impossibile per un ragazzo capire cos’è una convivenza civile. Al di là della silenziosa o violenta solitudine del proprio smartphone.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout