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Paolo Pombeni

Caccia al consenso/ La politica a due velocità che rallenta il Paese

di Paolo Pombeni
4 Minuti di Lettura
Sabato 14 Maggio 2022, 00:14
Articolo riservato agli abbonati

Una politica a due velocità? Davvero l’Italia non se la meriterebbe, soprattutto in un momento delicatissimo come questo, ma invece è quanto sembra emergere leggendo le cronache: da un lato il premier Draghi impegnato a lavorare nel club dei leader che si pongono il problema di come affrontare le incognite della fase attuale, dall’altro politici alla continua caccia di visibilità nell’ottica solo di sopravvivere alle prossime fibrillazioni elettorali (che tra l’altro hanno favorito essi stessi con il taglio del numero dei parlamentari). Dopo la missione a Washington del nostro presidente del Consiglio la leggenda velenosa che lo dipingeva come servo degli americani con un fantomatico elmetto in testa dovrebbe aver perso credibilità (poi ci sono quelli che non cambiano idea nemmeno quando vanno a sbattere contro la realtà). 

Draghi ha affrontato con il vertice di una potenza mondiale, che vogliamo sperare nessuno consideri irrilevante, il problema centrale di come ricostruire l’equilibrio e la stabilità nel sistema di relazioni internazionali. Questo è il nome della pace nel realismo imperfetto della vita delle nazioni, senza così negare che sul piano morale occorra fare molti ulteriori passi avanti: qui però si entra in una dimensione che va oltre e che va lasciata a chi ha gli strumenti e la credibilità per predicarla. Per ottenere la restaurazione di quell’equilibrio che l’avventurismo di Putin ha gettato alle ortiche occorre indubbiamente individuare le modalità per mettere in opera un percorso negoziale. Farlo partire da un auspicabile cessate il fuoco sarebbe ovviamente un buon inizio, ma tutto non può esaurirsi in una tregua (destinata a durare non si sa quanto e sfruttabile anche a fini non proprio nobili) e soprattutto perché si tratti di un primo passo verso una soluzione del conflitto è necessario iscrivere tutto in un quadro internazionale.

Ciò non significa certo, come del resto ha opportunamente segnalato Draghi, imporre all’Ucraina di arrendersi a pagare un prezzo salato per far cessare l’aggressione russa, ma vuol semplicemente dire che la soluzione della crisi va trovata col mettere Putin di fronte alle conseguenze che scaturiscono dalla rottura del sistema di equilibri che per quanto in maniera imperfetta si era riusciti a costruire dopo il crollo dell’Urss. Il premier italiano ha trovato ascolto presso la leadership americana perché si è mostrato consapevole di queste problematiche e perché ha offerto argomenti per trovare soluzioni. Il primo tema è quello della crisi alimentare che sta montando a seguito del blocco del commercio dei grani e di altre derrate alimentari che facevano perno sull’Ucraina. Lo spettro di una grande fame che dovesse attanagliare i Paesi africani e non solo dovrebbe essere preso in seria considerazione da tanti pseudo-francescani che parlano di pace e di armi piuttosto in astratto. Sarebbe un fenomeno con effetti destabilizzanti di gravi proporzioni, si pensi anche solo al problema dell’incremento di migrazioni (arrabbiate) verso l’Europa. Poi c’è ovviamente il tema delle forniture energetiche, che, per inciso, in parte significativa vengono e possono essere incrementate proprio dall’Africa.

Qui c’è una questione che dovrebbe toccare l’attenzione del nostro Paese ed è la situazione della Libia, produttore e transito di petrolio e non solo, attualmente in una situazione destabilizzata e oggetto di varie mire da parte della Russia e della Turchia. Gli Usa avevano deciso con Trump che non era affar loro occuparsi di quel territorio, oggi si può invitarli a ripensarci ed a considerare il ruolo che l’Italia può avere in questa faccenda. Tutto deve avvenire nel quadro di un’azione che si costruisce a livello di Unione Europea. La ripresa del protagonismo di Macron ora che ha davanti un quinquennio alla guida della Francia è un segnale positivo che non mette in discussione, ma semmai rafforza il ruolo che può svolgere il nostro paese guidato da Draghi (ancora solo per un anno?). L’interlocuzione aperta dal presidente francese con quello cinese è una iniziativa più che apprezzabile, dentro cui c’è spazio per la costruzione di quel gruppo di guida della Ue di cui l’Italia ha tutti i titoli e le competenze per far parte assieme a Francia, Germania e Spagna (senza escludere altri). Ciò deve però se non far finire, mettere un deciso freno al carnevale della propaganda elettorale. Draghi non può sedere nel club che lavora alla ricostruzione dell’equilibrio internazionale se è continuamente lavorato ai fianchi da forze politiche poco convinte di riconoscergli quel ruolo.

O meglio: continuerà ad esserci, ma a titolo personale per le qualità e le competenze che sono sue e che gli vengono riconosciute, non in quanto premier del nostro Paese. A chi pensa che tanto non ci sono problemi perché si stanno facendo sceneggiate per la gente, ma poi si agisce diversamente, ci permettiamo di segnalare un punto che ci ha giustamente richiamato l’on. Ceccanti. Adesso che - sembra tra breve - Finlandia e Svezia cercheranno di entrare nella Nato, il nostro parlamento dovrà, come quello degli altri Paesi membri, obbligatoriamente pronunciarsi su questo punto. E allora che faranno quelli che hanno predicato contro le provocazioni della Nato che ha disturbato l’orso russo costringendolo ad una cosiddetta difesa preventiva? Se fanno saltare tutto mettono il nostro paese in una posizione a dir poco molto spiacevole e rischiosa, se votano a favore rendono pubblica la superficiale demagogia delle loro posizioni. Come si suol dire prima o poi i nodi vengono al pettine. Che diventi l’occasione per strapparci così i capelli dal capo non ci pare gran cosa.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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