Paolo Balduzzi
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Gli effetti del Pnrr/ L’eredità che il Piano lascerà ai giovani

di Paolo Balduzzi
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Sabato 24 Aprile 2021, 00:11

È finalmente arrivato il momento della verità? Il Consiglio dei ministri oggi darà il via libera al testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che sarà presentato al Parlamento all’inizio della prossima settimana e quindi definitivamente approvato dal governo entro fine mese. In tempo rispetto alle scadenze comunitarie. E non è poco. Molto più importante sarà però capire se oltre a soddisfare questo semplice requisito formale, i progetti inseriti saranno promossi e finanziati dall’Unione europea. Siamo quindi ancora ben lontani dal “momento della verità”. Tuttavia, la curiosità rispetto al Piano era altissima nel Paese. Da un lato, guardando al passato, perché proprio sul Pnrr pochi mesi fa si è consumata una delle crisi di governo più inspiegabili della storia repubblicana, o perlomeno di quella recente. Da questo punto di vista, al momento è ancora presto per affermare che sul Pnrr si sia cambiato passo. Dall’altro lato, e guardando al futuro, le attese riguardano la capacità del Pnrr di incidere finalmente sulle prospettive di crescita di medio o lungo periodo.

Facciamo qualche passo indietro. Il tasso di crescita dell’economia reale in Italia è in declino ormai da decenni. Negli ultimi dieci anni, siamo stati uno dei paesi che in Europa è cresciuto di meno, nonostante la crisi del 2009-2013 abbia colpito tutti i Paesi. Siamo sinceri: il Documento di economia e finanze (Def), da questo punto di vista, è stato piuttosto deludente. Dopo un rimbalzo nel 2021 e nel 2022, le prospettive di crescita si dimezzeranno e già nel 2024 saranno inferiori al 2%. L’impatto del Pnrr, secondo le prime indiscrezioni, è sì positivo; ma non si può certo definire eccitante: una crescita media nel periodo 2022-2026 superiore dell’1,4% rispetto alla crescita media del periodo 2015-2019. Un bel balzo in avanti, non c’è dubbio. Ma partivamo da percentuali decisamente molto basse (crescita media inferiore all’1%). Questo significa che grazie al Pnrr cresceremo come crescevano gran parte dei Paesi europei prima della pandemia e senza il Recovery fund. Il problema è proprio questo: che i confronti non vanno fatti con un passato non particolarmente dinamico - per essere generosi - ma con le prospettive di crescita dei partner europei: quando l’emergenza finirà, chi vorrà investire andrà dove ci saranno le condizioni migliori per creare valore e ricchezza, chi cercherà un Paese rifugio per i propri risparmi, andrà dove le finanze pubbliche saranno sotto controllo. Anche questo è un aspetto fondamentale, troppo spesso ignorato dal dibattito sul “dopo”. Uscire dall’emergenza non significa solo ricostruire il tessuto economico, produttivo e sociale che si è lacerato in questi mesi, bensì anche ridare sollievo a un bilancio pubblico allo stremo delle forze. Molti paragonano l’effetto economico del covid a quello di una guerra, probabilmente anche auspicando un periodo post covid simile al secondo dopoguerra. Ce lo auguriamo tutti. Tuttavia, il pericolo è che il paragone storico più appropriato potrebbe diventare quello con gli anni ’70. All’inizio degli anni ’70, il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo del nostro paese era intorno al 40%.

Nel giro di 10 anni crebbe del 50%, per poi raddoppiare nel corso degli anni ’80 ed essere di circa il 120% alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria. Da allora, a parte i primi anni, il rapporto non è più sceso. Prima della pandemia era oltre il 130%. Oggi è quasi del 160%. Il timore, appunto, è che dopo la pandemia il paese si adagerà su questo valore senza impegnarsi per una sua riduzione, accettando quindi una nuova esplosione della spesa per interessi. 

Il Pnrr al momento è un libro dei sogni; ancora più importanti di questi sogni, e il governo sembra almeno esserne cosciente, sono le riforme di contesto, quanto mai necessarie: la giustizia, civile e amministrativa, la burocrazia, il fisco. Finora l’atteggiamento del legislatore è stato semplicemente quello di reiterare queste buone intenzioni, di Def in Def, sperando che fosse sempre il Parlamento successivo a doversene occupare. Ora i nodi sono finalmente venuti al pettine e il contesto non è certo quello dei migliori. Un esempio di belle intenzioni bloccate dalla burocrazia? Il superbonus edilizio. Invece di avere un paese brulicante di impalcature intorno alle abitazioni, di operai al lavoro e di ingeneri impegnati a progettare, abbiamo geometri e commercialisti con le mani tra i capelli e uffici del catasto più lenti di quando erano aperti al pubblico. Un altro esempio? Le grandi opere, già approvate, progettate e finanziate, ma ancora incompiute. Il database dell’Osservatorio Media Permanente Nimby Forum riporta che ancora nel 2018 erano oltre 300 gli impianti bloccati da qualche contestazione o intoppo amministrativo. Un dato che dovrebbe farci riflettere, anche perché gran parte di queste opere riguarda impianti energetici dedicati alla produzione da fonti rinnovabili. E uno dei capitoli fondamentali del Pnrr, su forte impulso della Commissione, è proprio quello dedicato alla transizione ecologica. C’è da scommettere che il passaggio dai sogni alla realtà, in questo campo, sarà molto arduo: quanti interessi - economici, ambientali e territoriali - da tenere in considerazione! 

Al di là quindi delle cifre e dei dettagli, su cui avremo tempo tutta l’estate per sbizzarrirci a commentare, la sfida del Pnrr sarà squisitamente politica. Con una difficoltà aggiuntiva: richiede un orizzonte temporale che questo governo, un po’ per la sua natura e un po’ per l’orizzonte temporale della legislatura, non ha. Un bel rompicapo. Nelle intenzioni del Governo, il Pnrr lascerà un’eredità per le generazioni future. Al momento, l’unica eredità certa è una spesa per interessi enorme che andrà ripagata nei prossimi anni. La speranza è che lo sforzo che queste nuove generazioni faranno, anche per ripagare i ritardi e le amnesie della nostra generazione e di quelle passate, siano adeguatamente ripagate in termini di maggiori fiducia e ottimismo nelle possibilità del Paese. Al contrario, l’unico effetto per le nuove generazioni sarà quello di tornare ad acquistare un biglietto aereo di sola andata.

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