Maria Latella

Il caso Peschiera/Quei modelli sbagliati dei giovani violenti

di Maria Latella
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Venerdì 10 Giugno 2022, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 23:05

Milano, piazza del Duomo un pomeriggio qualsiasi, di una qualsiasi settimana. Decine e decine di ragazzini stazionano senza altro scopo apparente che chiacchierare tra loro. Sono tanti e sono Cni, cittadini non italiani. Il problema è che loro lo sanno, lo sentono. Sono nati nel Maghreb, in Gambia o in Costa d’Avorio. O in Italia da genitori maghrebini o africani. Ma non si sentono né marocchini né italiani ed è in questa terra di mezzo che covano rabbia, insicurezza. 


È in questa terra di mezzo che, tra poco, nelle nostre città, scatteranno conflitti sociali di cui il caso Peschiera è solo un primo, minuscolo, antipasto.


Una bomba sta per esplodere e finora un po’ tutti hanno fatto finta di non vedere che è lì, con la miccia innescata. Pronta a scoppiare. I giovani Cni sono tanti, tra il 2012 e il 2021 aumentati del 15,6 per cento (dati Openpolis), quasi l’11 per cento dei minorenni che vivono nel nostro Paese, concentrati soprattutto al Nord. Hanno in comune almeno due o tre cose: una famiglia che non si è davvero integrata, una scuola che, quando la frequentano, lascia loro infiniti pomeriggi di vuoto, un cortocircuito emotivo/valoriale per cui della cultura di origine passano solo i più aggressivi elementi identitari (“Siamo africani”, “Portiamo l’Africa qui”) e non per esempio il rispetto per le donne che pure i loro nonni praticavano. Mentre della cosiddetta cultura italiana passa solo il concetto “più hai soldi e più sei figo”.


Il primo problema: la famiglia di origine. Immemori del fallimento francese, non abbiamo fatto granché per imparare la lezione. Quando una famiglia emigra, o quando la moglie e i figli raggiungono il padre in Italia, alle difficoltà della ripresa di una vita di coppia si aggiungono quelle dell’inserimento sociale. «L’immigrazione è un trauma, impone costi psicologici - scrive Clara Silva, ricercatrice dell’Università di Firenze - Per le famiglie immigrate è una sfida difficile, le difficoltà linguistiche e culturali rappresentano ostacoli che impediscono ai genitori di vedere le difficoltà dei figli, di essere per loro un solido punto di riferimento». 
In più, e questo come si sa vale per tutti, con l’adolescenza i figli cominciano a mettere in discussione l’autorità dei genitori. Nelle famiglie immigrate il conflitto tra genitori e figli è ancora più esplosivo. Anche perché, scrivono, l’autorità del padre risente “della perdita di status del genitore immigrato dovuta a una sorta di azzeramento delle competenze pregresse”.


Le famiglie insomma non sono in grado di essere il porto sicuro nel quale rifugiarsi. Perciò se padri e madri scelgono di vivere nel nostro Paese sarebbe utile per loro accettare un percorso di mediazione. Per apprendere la lingua e chiedere aiuto. Servono mediatori culturali in gran numero, qualificati non solo per la conoscenza della lingua di origine degli immigrati ma con competenze psicologiche calibrate sulle difficoltà che la famiglia incontra di fronte a un contesto totalmente nuovo, urbano mentre si arriva da villaggi, con la parità tra uomo e donna mentre si arriva da culture dove a volte questa parità non è compresa.

L’apprendimento e il rispetto delle regole va prima di tutto introdotto tra i genitori se si vuole che venga trasmesso ai figli. Così per esempio è stato fatto in Germania.


Secondo capitolo: la scuola. 
I figli degli immigrati vanno a scuola? Si. Ma ciascuna comunità ha risposte diverse sul rapporto con l’istruzione. Giada Zhang, figlia di immigrati cinesi, non parlava una parola di italiano quando arrivò in Lombardia dalla Cina. Mi ha raccontato di aver avuto enormi problemi di integrazione. Ma la mamma l’accompagnò a comprare un vocabolario italiano-cinese e con la tenacia dei suoi dieci anni (e l’aiuto della famiglia) in terza media Giada Zhang era diventata l’orgoglio della classe, al punto da ricevere una borsa di studio. Oggi è una manager di riconosciuto successo.


In Francia i ragazzi maghrebini di seconda o terza generazione hanno mostrato un particolare talento per le tecnologie. Noi in Italia abbiamo un disperato bisogno di esperti nel ramo. Manca l’anello di congiunzione, una scuola che dai tredici ai diciotto anni impegni i ragazzi a tempo pieno dando loro una prospettiva di vita E un lavoro a breve. A Parigi l’esempio di Ecole42, la scuola finanziata e voluta da Xavier Niel forma esperti in tecnologie senza richiedere alcun diploma e senza che ci siano insegnanti. Si è rivelata un successo esportato in vari Paesi. In Italia è la Luiss ad averlo introdotto con ottimi risultati.
Occupare i pomeriggi con progetti ben fatti, concreti è per ora incombenza lasciata alla buona volontà dei volontari. Non può continuare così.


Il terzo capitolo: il modello culturale che abbiamo trasmesso finora.
Vale per i ragazzini maghrebini di Peschiera e per i figli dei professionisti dei Parioli a Roma. Il modello imposto sui social di ogni genere e tipo è: consuma e cerca di avere soldi. Per comprare vestiti e scarpe di lusso. Per comprare droga. Solo così potrai essere rispettato dai tuoi pari.


È un modello devastante, i cui effetti sono ben noti alle centinaia di famiglie che ogni mese bussano alla porta delle comunità di recupero per chiedere l’ammissione di ragazzini tossicodipendenti a sedici anni, quasi bambini convinti che il modello da emulare sia quello dei boss colombiani. Ignorare i fatti o fingere che queste siano preoccupazioni da “parrucconi” fermi al secolo scorso può far comodo sul breve periodo. Poi però scoppiano i “casi Peschiera” o si fanno vive le baby gang di ragazzini sudamericani.


Quando diventerà un problema quotidiano sarà troppo tardi.
Dei tre problemi citati il primo, la formazione per aiutare le famiglie, sembra il più urgente. E anche il più vasto. Serve un lavoro specifico per le madri e i padri che emigrano nel nostro Paese ma anche per i genitori italiani, magari professionisti di successo nel loro settore ma padri e madri in crisi ogni volta che rientrano a casa.

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