Alberto Brambilla
Alberto Brambilla

La relazione/ Quali politiche per salvare le pensioni

di Alberto Brambilla
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Venerdì 11 Febbraio 2022, 00:10

Nel 2020 la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni previdenziali Inps e alle Casse dei liberi  professionisti, al netto dell’assistenza ma considerando le integrazioni al minimo, le maggiorazioni sociali e la gestione assistenziale dei dipendenti pubblici (23,6 miliardi), è ammontata a 234,7 miliardi di euro, facendo segnare rispetto all’anno precedente un incremento di poco inferiore al 2%. Una variazione imputabile in parte alla rivalutazione delle rendite all’inflazione e, in misura maggiore, all’effetto-rinnovo innescato dalla sostituzione delle pensioni cessate con quelle di nuova liquidazione, di importi mediamente più elevati. L’incremento segnato nel 2020 non sposta il giudizio sulla tenuta del sistema previdenziale italiano che, seppure con alcuni elementi di criticità, sembra mantenere quella condizione di stabilità che le ultime riforme in materia si proponevano. Il vero problema continua a risiedere da un lato nella spesa assistenziale sempre più fuori controllo anche a seguito delle misure di sostegno introdotte a causa della pandemia (Reddito di cittadinanza, Reddito di emergenza, eccetera), dall’altro nelle frammentate misure di anticipo pensionistico quali Quota 100, Ape Sociale, Opzione donna, Lavori precoci, Lavori gravosi e così via) che stanno riportando il nostro sistema indietro nel tempo alla cosiddetta “giungla pensionistica”, situazione in cui l’accesso al pensionamento è determinato da troppe regole e condizioni diverse.

Giusto per fare un raffronto, la spesa pensionistica di 234,7 miliardi, al netto dei 23,6 miliardi assistenziali e dei 56 miliardi di Irpef che gravano prevalentemente solo sul 30% dei pensionati dato che metà dei 16 milioni è esentato per motivi di reddito o altro, ammonta a 155,2 miliardi; quella assistenziale a carico della fiscalità generale, vale a dire prevalentemente di quel 21% che si sobbarca quasi il 72% di tutte le imposte, vale ben 144,7 miliardi. Siamo al paradosso che la spesa netta per pensioni finanziata per oltre il 90% dai contributi sociali, costa circa 10 miliardi in più di quella non finanziata da contributi di scopo ma solo dalle nostre tasse. Le entrate contributive per il 2020 hanno risentito ovviamente del lockdown dei primi mesi dell’anno e del rallentamento di molte attività produttive e di servizi (si pensi solo al quasi blocco delle attività turistiche invernali ed estive) che hanno ridotto sia le ore lavorate sia l’occupazione dipendente e autonoma e, di conseguenza, le entrate contributive che sono state pari a 195,4 miliardi (-6,6% rispetto ai 209,4 miliardi del 2019). Pertanto, sulla base dei dati rielaborati nel Nono Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali che verrà presentato alle Commissioni Parlamentari e al governo il 15 febbraio presso la sala Capitolare del Senato, il saldo tra contributi e prestazioni presenta un risultato negativo di 39,3 miliardi, che supera di 18,4 miliardi il saldo del 2019.

Questo deficit è il risultato delle gestioni attive e di quelle in pesanti disavanzi; le uniche gestioni in attivo dell’Inps, seppure con risultati inferiori a quelli del 2019, sono il Fondo Pensione Lavoratori Dipendenti con un attivo di 1,2 miliardi (erano più di 20 miliardi lo scorso anno), la gestione Commercianti con un attivo di 607 milioni, la gestione dei Lavoratori dello Spettacolo (ex Enpals) con 150 milioni e la Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati, con 6,8 miliardi.

Tutte le Casse privatizzate dei liberi professionisti, con la sola significativa eccezione dell’Inpgi la cui gestione sostitutiva per i giornalisti dipendenti confluirà in Inps a luglio, presentano risultati di bilancio positivi, beneficiando soprattutto di un buon rapporto attivi/pensionati, per un totale di 3,8 miliardi. L’apporto complessivo delle gestioni attive, pari a 12,6 miliardi, consente di contenere il disavanzo totale tra entrate e uscite nella misura indicata di 39,3 miliardi. Senza queste poste attive il deficit del sistema pensionistico avrebbe raggiunto l’importo di 51,9 miliardi di euro.

Tra le gestioni che presentano disavanzi il più elevato è quella dei dipendenti pubblici che al netto dei 10,8 miliardi di contributo aggiuntivo a carico del datore di lavoro Stato, ammonta a 36,4 miliardi di euro, risultante da entrate per 40,1 miliardi e da uscite per 76,5 miliardi e in aumento rispetto a quello registrato nei due anni precedenti (30,5 miliardi nel 2018 e 33,6 nel 2019); in pratica quasi l’intero deficit annuo dell’Inps. Per dimensione del passivo registrato seguono quindi il fondo ex Ferrovie dello Stato, il cui pesante squilibrio gestionale è stato ripianato mediante trasferimenti a carico del bilancio statale per 4,4 miliardi, i fondi ex Inpdai, la gestione degli artigiani (3,4 miliardi) e quella Cdcm relativa ai lavoratori autonomi del comparto agricolo (coltivatori diretti, coloni e mezzadri) con 2,1 miliardi di disavanzo oltre al miliardo a carico della fiscalità.
Per il 2021 il Rapporto prevede un deficit Inps intorno ai 24 miliardi per effetto dell’incremento degli attivi che dovrebbero raggiungere il livello di fine 2019 intorno ad aprile di quest’anno e del flusso di contributi per poi attestarsi a 20,8 miliardi entro il 2024. Nel 2021 il numero delle pensioni liquidate è stato di 815.400, circa 50mila in meno rispetto al 2020 nonostante Quota 100 e le altre anticipazioni; pertanto, grazie all’aumento dell’occupazione dovrebbe attestarsi a circa 1,45 attivi per pensionato, in linea con il 2019. Alla luce di questi dati il Rapporto conferma la sostenibilità del nostro sistema pensionistico attuale e nel prossimo futuro, a patto 1) di spostare sui fondi bilaterali e sui contratti di espansione tutte le forme di anticipazione compresi i Gravosi di cui non c’è traccia nella letteratura scientifica; 2) mantenere la correlazione tra le età di pensionamento e la speranza di vita (la cosiddetta Quota 102, 64 di età e 38 di contributi è un buon punto di equilibrio); 3) riformare l’organizzazione del lavoro prevedendo un sistema di invecchiamento attivo; 4) rinforzare le politiche attive riducendo le politiche passive che assorbono la quasi totalità degli sforzi pubblici creando disincentivi all’occupazione e aumentando la formazione professionale; 5) puntare sulla prevenzione per aumentare non solo l’aspettativa di vita ma soprattutto quella in buona salute.

*Presidente Centro Studi 
e Ricerche Itinerari Previdenziali

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