Vittorio Emanuele Parsi
Vittorio Emanuele Parsi

L’unità che serve per superare l’emergenza

di Vittorio Emanuele Parsi
4 Minuti di Lettura
Martedì 10 Maggio 2022, 00:13

Nel discorso della parata del 9 maggio Putin si è dimostrato straordinariamente a corto di argomenti sull’aggressione all’Ucraina persino nei confronti del suo pubblico.
Ha reiterato la solita, stanca, incredibile narrazione di una “guerra difensiva”, dell’antistorica analogia con l’invasione nazista del 1941 e non ha mai usato la parola vittoria. Un segno di debolezza e, probabilmente, di confusione strategica. Si direbbe che il Cremlino non sappia come uscire dal guaio in cui si è infilato e dall’incubo in cui ha cacciato l’Ucraina (innanzitutto) e il mondo intero.
Non è difficile prevedere che questo ridarà fiato a quel cosiddetto “partito della trattativa”, particolarmente visibile in Italia, che vorrebbe un’Europa più “protagonista” e meno “schiacciata” sulle posizioni degli Stati Uniti. E c’è da ritenere che l’incontro tra Mario Draghi e Joe Biden fornirà ulteriori occasioni di polemiche fondate sul nulla.
La verità è che il successo, direi la sopravvivenza stessa dell’Unione, passa per il fallimento dell’ aggressione putiniana. Piaccia o non piaccia, la Commissione nella sua interezza e i due soli leader nazionali che stanno dimostrando una visione audace e pragmatica in questi drammatici mesi – Mario Draghi e Emmanuel Macron – hanno operato una chiara scelta di campo dall’inizio della guerra. Una scelta responsabile ed eticamente doverosa di pieno, aperto sostegno all’aggredito e al suo incomprimibile diritto a difendersi militarmente dall’aggressore. In tutte queste settimane hanno lavorato affinché l’Unione si dimostrasse e mantenesse coesa, nonostante tutte le crescenti difficoltà e nonostante l’atteggiamento di personaggi come Orban (per restringere il campo ai capi di governo in carica), che non hanno mai fatto mistero di volere un arretramento dell’unità europea per aver mano libera nell’imbarbarimento della democrazia nel loro Paese.
Certo ci sono state difficoltà di comprensione del contesto, all’inizio e in corso d’opera (l’illusione che la guerra non sarebbe scoppiata, che la Russia l’avrebbe chiusa rapidamente e, poi, che di fronte alle difficoltà tattiche e all’isolamento strategico si sarebbe convinta a negoziare), che hanno prodotto un errore di comunicazione e concorso ad alimentare l’ansia di un’opinione pubblica, convinta di dover affrontare un breve tratto di mare in apnea e non una lunga traversata con respirazione sincronizzata.
Ma i sostenitori dell’impossibile “terzismo europeo” dovrebbero riflettere su un punto. L’Unione ha reagito di fronte alla crisi della guerra sulla scorta dell’esperienza accumulata con la pandemia, nella corretta convinzione che da una simile emergenza si esce radicalmente trasformati o si muore. Lo spirito è il medesimo che ha animato il concepimento di Next Generation Eu. Rispondere alla crisi ponendo mano alle carenze strutturali dell’Unione medesima: in un caso sospingendola verso la fuoriuscita dall’energia fossile e verso un’economia tecnologicamente all’avanguardia, nell’altro indicando la necessità di assumersi maggiori responsabilità per la salvaguardia di un ambiente internazionale in cui le democrazie possano sopravvivere e prosperare.
Se Putin dovesse in qualunque modo prevalere, se la sovranità ucraina fosse barattata con “la fine della guerra”, non solo avrebbe vinto il capo del Cremlino, ma avrebbero vinto gli Orban e i tanti avversari del progetto europeo, i sovranisti, i populisti, e i giocolieri sostenitori di un’Europa eternamente in mezzo al guado e, quindi, strutturalmente a rischio di implodere di fronte a ogni nuova crisi.
In una simile prospettiva, l’Ue nel suo complesso perderebbe credibilità e con lei si attenuerebbe l’affidabilità delle garanzie offerte al sostegno dei suoi Stati-membri più indebitati, e la stessa potenzialità di tutto il piano di rinnovamento strutturale, energetico, tecnologico, politico economico e militare sarebbe legittimamente messa in discussione dai mercati.

La guerra costa anche a noi, non c’è alcun dubbio, ed è doveroso identificare gli strumenti, e le fonti di finanziamento, affinché questo costo non impatti in maniera indiscriminata e casuale, colpendo soprattutto i soggetti più fragili. Ma lasciare che questa guerra la vinca Putin ci costerebbe molto di più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA