Carlo Nordio
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Dal Csm linea dura/ Scandalo nomine, Palamara radiato: «Ricorro in Europa»

Dal Csm linea dura/ Scandalo nomine, Palamara radiato: «Ricorro in Europa»
di Carlo Nordio
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Sabato 10 Ottobre 2020, 00:06 - Ultimo aggiornamento: 11:00

La sera del 20 Luglio 1944, quando fu evidente il fallimento dell’attentato a Hitler, il generale Fromm, che era a conoscenza della congiura ordita dai suoi due subalterni Olbricht e Von Stauffenberg, convocò in tutta fretta una corte marziale quindi li condannò a morte e li fece fucilare sul posto. Fromm non cercava giustizia, ma solo impunità. Temeva che i due ufficiali rivelassero che anche lui faceva parte del complotto. Alla fine fu eliminato anche lui. 

Il Csm non è certo Fromm, e tantomeno Palamara è l’eroico conte Von Stauffenberg. Ma il principio è lo stesso: il Csm ha organizzato un processo più o meno sommario, con lo scopo di evitare che molti magistrati dovessero recitare le parole del “Miserere”: «Sono stato concepito nell’iniquità, e partorito nel peccato». Perché questo ha fatto Palamara: ha promosso, favorito, contrattato e concordato molte tra le più alte cariche della magistratura. Comprese, probabilmente, alcune di quelle che adesso fanno finta di nulla. 

A questo scopo, il dottor Palamara aveva chiesto l’audizione di oltre cento procuratori, giudici e politici. Il suo obiettivo era quello di invocare il cosiddetto “Tu quoque”, ovverossia la partecipazione corale a quella lottizzazione di cariche, concertata a tavolino secondo criteri di convenienza correntizia, che costituisce, come hanno detto anche gli editorialisti più prudenti e moderati, “un verminaio” del nostro sistema giudiziario. Palamara ha avuto la sfortuna che il tavolino della sua conversazione spartitoria più significativa fosse quello di un ristorante, e che il sistema di intercettazione fosse il famigerato trojan, nome di reminiscenza omerica che, come la Tuxe tucididea colpisce a casaccio. Quante altre conversazioni dello stesso tenore Palamara abbia avuto con altri colleghi e parlamentari lo sa solo lui. Voleva dirlo, e gli è stato impedito.

Il dottor Palamara infatti non era un giovanissimo magistrato ambizioso che mirasse a insinuarsi tra le quinte del potere con astuzie solitarie e propositi occulti. E’ stato a lungo il capo del sindacato delle toghe ed uno dei componenti più influenti di quel Csm che ora finge di non averlo mai conosciuto e tantomeno assecondato. Citando quei 133 testimoni, Palamara poteva dimostrare che aveva almeno l’attenuante dell’avallo, se non della compartecipazione dei suoi illustri colleghi. Rifiutando di ascoltarli, i suoi giudici hanno inteso mettere il coperchio sulla pentola.

Se questa scoppierà o meno, lo vedremo in prosieguo. 

Va detto che Palamara si è difeso in modo ingenuo. Avrebbe potuto tenere un atteggiamento contrito e penitenziale, invocando misericordia e assumendosi, come avveniva nei processi stalinisti, anche le colpe che non aveva. Non avrebbe salvato la verità, perché anche i sassi sanno che era solo una rotellina in un ingranaggio consolidato; e forse non avrebbe salvato il posto, perché la condanna era probabilmente già scritta; ma avrebbe salvato, si fa per dire, l’immagine della magistratura, scagionandola da ogni concorso di colpa. Oppure avrebbe potuto far subito nomi e cognomi, raccontando com’era arrivato in poco tempo ai vertici dell’Associazione e del Csm, ricevendo quotidianamente infinite richieste di umili postulanti togati. Avrebbe suscitato un pandemonio, ma ne sarebbe uscito, se non con onore, almeno con soddisfazione.

Invece ha scelto la via peggiore, quella che costò la testa a Robespierre alla vigilia del Termidoro, quando accusò la Convenzione di essere un covo di congiure, senza indicarne gli autori: impaurì tutti senza rassicurarne nessuno, e il giorno dopo fu eliminato dai suoi stessi compagni di misfatti. “Strike hard, strike sure”, dicono gli strateghi. Palamara ha colpito con debolezza ed esitazione, e questo gli è stato fatale. 

Ma il dottor Palamara, a differenza di Fromm e di Robespierre, non è - e ce ne rallegriamo - né morto né impedito. Dica tutto, ma proprio tutto quello che sa. Anche se le sue parole potrebbero ora sembrare rancorose e vendicative, non per questo sarebbero meno utili all’accertamento della verità, soprattutto se supportate da riscontri significativi. Eviterebbe così il perdurare di un’atmosfera di sospetto che continuerà a gravare su tutta la magistratura, che davvero non se la merita. Quanto al Csm, ha dato una pessima prova di imparzialità e soprattutto di lungimiranza: ha commesso un grave errore se ha creduto di recuperare con questi mezzi autoritari la fiducia dei cittadini, che un tempo guardavano alla magistratura con riverente riconoscenza, e ora la considerano uno dei tanti centri di oscuro intrallazzo e di bassa baratteria. Ricordi che il generale Fromm, come abbiamo detto, non salvò la pelle. E quanto a Robespierre, poco dopo la sua caduta arrivò Napoleone.

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