Pio d'Emilia
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Se abbandonare rifiuti può costare il carcere

Se abbandonare rifiuti può costare il carcere
di Pio d'Emilia
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Lunedì 29 Marzo 2021, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 00:20

Sembra non fosse stata la prima volta. Ed è per questo, forse, che la polizia ci sta andando giù pesante. Rischia infatti 3 anni di prigione – che in Giappone prevede sempre l’obbligo di lavorare 8 ore al giorno - e 5 mila euro circa di multa tale A.T, arrestato qualche giorno fa nella cittadina di Kamakura, antica capitale, famosa per la gigantesca statua di Buddha, una delle più grandi esistenti al mondo. Questo è quanto gli spetterebbe a seguito dei vari reati commessi con il suo gesto decisamente idiota: gettare gli avanzi del suo “bento”, il pranzo “portatile”, in una buca delle lettere. 


Che il Giappone sia l’Impero della Pulizia, dell’Igiene, della Cortesia e del Senso Civico lo sanno tutti: qui si ringrazia sempre e comunque per qualsiasi cosa (a volte in modo esagerato, usando lunghe e complicate circonlocuzioni), ci si scusa anche quando si ha ragione o si subisce un torto, si cerca di non essere rumorosi nei luoghi pubblici (mezzi di trasporto compresi) ed in generale si sta molto attenti a non essere produttori di “meiwaku”, termine generico con cui si indica fastidio, imbarazzo, disturbo. 


Turbamento del “wa”, insomma, il principio di “armonia” che permea e avvolge, spesso solo superficialmente, la società giapponese. Tutte cose che ad A.T, cittadino inglese di 37 anni, nessuno deve avere spiegato, anche se francamente sembrano abbastanza semplici da capire. Lui, colto in quasi-flagranza (le telecamere hanno ripreso il suo gesto, allertando la polizia), ci ha anche provato, a cadere dalle nuvole: «Pensavo fosse un bidone dell’immondizia», pare abbia dichiarato, e che non aveva letto la scritta (peraltro in inglese: “mailbox”). Da prendere a schiaffi, insomma, prima di procedere all’arresto.


Per mantenere il “wa” il Giappone non ha bisogno di ricorrere a misure coercitive o intimidatorie (come avviene ad esempio a Singapore): le leggi ci sono, per carità, ma in genere basta il senso civico, instillato sin dall’asilo, il concetto di “hazukashii” (vergogna), altro elemento costitutivo del Dna giapponese, e la percezione – che oggi non è più solo tale, vista la mappatura digitale e la presenza ubiqua delle telecamere – di essere continuamente osservati ad evitare situazioni anche solo minimamente imbarazzanti. Come essere – in genere gentilmente – apostrofati, o anche solo osservati, per aver gettato un mozzicone per terra o qualche rifiuto nel cestino/secchio sbagliato.

Tutte cose che vivendo qui uno dà per scontate, e che fa fatica a capire perché non possano essere condivise, almeno in buona parte, ovunque. Italia compresa.


Poi, vabbè, ogni tanto c’è qualcuno - non necessariamente straniero, per carità - che fa il furbo, o che mostra un tale livello di dolosa maleducazione che l’esemplarità della punizione ci sta tutta. 
Con il suo gesto, A.T. ha inanellato una serie di reati (reati, avete capito bene, non illeciti amministrativi) che come scritto in apertura, potrebbero procurargli sino a 3 anni di reclusione. Violazione della Public Waste Management Law, che vieta di gettare rifiuti “privati” (qualsiasi tipo) in contenitori non appositamente designati (cosa a volte non facile, visto che in Giappone non esistono o quasi i cestini pubblici: la gente si porta i rifiuti a casa) e violazione della Waste Reclycing Law, quella che regola il complicatissimo sistema di riciclaggio e di raccolta differenziata: a Tokyo, ad esempio, le categorie di rifiuti sono una decina. Guai a metter fuori casa, sia pure nei bidoni dedicati, delle bottiglie di vetro, dei cartoni o rifiuti organici nel giorno sbagliato. E’ moto probabile che un vicino – senza arrivare a chiamare la polizia (anche se a volte succede) – ve li riporti a casa, spiegandovi con gentilezza – ma facendovi sentire un vero criminale – che avete sbagliato giorno. E forse Paese. 


Dopodiché, vi chiederete, ma questo deficiente, alla fine, si farà davvero 3 anni di prigione? Probabilmente no. Intanto perché in Giappone l’azione penale è discrezionale: alla fine dell’istruttoria, anche in presenza di prove ineccepibili, la pubblica accusa può decidere di archiviare e non rinviare a giudizio: l’articolo 248 del codice lascia molto spazio alla discrezionalità, che spesso sfocia in arbitrarietà.


Ma anche se dovesse essere rinviato a giudizio, e quindi condannato (il 99,9% dei processi penali finisce con una condanna) A.T. potrebbe lo stesso evitare il carcere, puntando sulle attenuanti. Pare infatti che fosse su di giri, che avesse bevuto. Ed in Giappone, lo stato di ubriachezza costituisce una circostanza dirimente, e non, come avviene nella maggior parte del mondo, aggravante. Ma di questo parleremo, magari, un’altra volta.

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