Ruben Razzante
Ruben Razzante

Deriva mediatica/ Il dramma della pandemia raccontato senza eccessi

di Ruben Razzante
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Martedì 28 Dicembre 2021, 23:59

Il virus ha rialzato la testa. Omicron dilaga e mette sotto scacco intere nazioni. Il quadro epidemiologico in peggioramento sollecita tempestive scelte di politica sanitaria, che vanno spiegate all’opinione pubblica con le argomentazioni della scienza e con l’intento di favorire comportamenti corretti e responsabili da parte dei cittadini.


A prescindere dalle valutazioni dei singoli provvedimenti assunti dai decisori istituzionali, si impone una riflessione sul ruolo che l’informazione riveste nelle azioni di contrasto alla pandemia.
Se è vero, come documenta il Rapporto dell’Osservatorio Censis-Ital Communications, che 4 milioni e mezzo di italiani si approvvigionano di notizie esclusivamente attraverso i social network, ignorando i media tradizionali, si pone un problema non secondario di scarsa riconoscibilità dell’informazione di qualità nell’ecosistema digitale, con tutto ciò che ne consegue in termini di tossicità dei contenuti.
Le fake news, che hanno prodotto disorientamento nell’opinione pubblica generando interpretazioni fuorvianti e comportamenti sbagliati nell’osservanza delle misure anti-Covid dettate a protezione della salute collettiva, attecchiscono più facilmente in Rete, dove chiunque può diffondere informazioni senza una certificazione professionale e senza verifiche di attendibilità e affidabilità.

La bulimia informativa indotta dalla facilità di accesso ai siti web non professionali e ai canali social determina la saturazione degli spazi dell’attenzione e favorisce il relativismo delle opinioni. Domina il “facilismo” interpretativo e l’approfondimento non viene percepito come un valore aggiunto, bensì come una pericolosa minaccia al dogma dell’immediatezza trasmissiva.
Ma sarebbe un errore circoscrivere l’analisi delle criticità al solo ambito social. Le telerisse rappresentano un altro vulnus al diritto dei cittadini ad essere informati e a ricevere informazioni medico-sanitarie corrette ed equilibrate. L’imbarbarimento di alcuni contenitori di “infotainment” è una piaga accentuata dall’esasperazione di molti cittadini che, nel libero sfogo delle comprensibili pulsioni individuali, assecondano di fatto il chiacchiericcio degli studi televisivi, amplificandolo sui profili social. Risultato: trionfa l’emotività irrazionale e si allontana la comprensione delle dinamiche della pandemia, con il pericoloso risvolto di un equivoco accreditamento e di una improvvida legittimazione di tesi no vax o quanto meno di punti di vista scettici rispetto all’efficacia dei vaccini.


Che ci sia un crescente e generalizzato fastidio verso la narrazione urlata e spettacolarizzata del Covid lo testimoniano anche le recenti dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che ha auspicato una riflessione sul fatto che l’invasione nei talk show di virologi ed “esperti” a vario titolo rischi di creare incertezze e confusione. 
Il cosiddetto “Festival della virologia a reti unificate”, espressione un po’ forte ma che rende efficacemente l’idea, sta evidentemente mostrando i suoi limiti.

Non solo perché riduce sensibilmente lo spazio della mediazione giornalistica, contribuendo ad occultare anziché a valorizzare il ruolo dell’informazione di qualità. Ma anche perché finisce per far deragliare la programmazione televisiva dai binari dell’informazione di pubblica utilità, fondata sul confronto pacato e sull’emersione di verità riconducibili a evidenze scientifiche. E concorre, altresì, ad alimentare le divisioni sociali.


E allora appare ragionevole l’auspicio, per l’anno nuovo ormai alle porte, di una narrazione diversa del Covid. La riconoscibilità dell’informazione di qualità deve essere favorita da iniziative istituzionali. Ad esempio, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), le emittenti radiotelevisive e l’Ordine nazionale dei giornalisti potrebbero elaborare insieme alcune direttive per una rappresentazione più responsabile dell’evoluzione del Covid, riproducendo il metodo concertativo che portò, oltre dodici anni fa, alla sottoscrizione del Codice contro i processi mediatici.


Questa volta, però, non è in gioco il valore della presunzione di innocenza, calpestato spesso da una rappresentazione giustizialista delle vicende processuali. Qui è in ballo l’intreccio tra diritto all’informazione e tutela della salute. Peraltro i giornalisti nel novembre 2020 hanno aggiornato il loro Testo unico dei doveri per includervi principi più stringenti in materia di informazione medico-scientifica. 
Non sempre, però, quelle norme deontologiche sono state applicate, vista la spiccata tendenza di certo giornalismo a spettacolarizzare i messaggi. Riportare nell’alveo della cronaca misurata ed equilibrata la narrazione della pandemia dev’essere una delle principali sfide del 2022. Per facilitare il superamento dell’emergenza sanitaria, per evitare un ulteriore deterioramento del clima sociale e per rilanciare il valore dell’informazione professionale, mettendo al centro i diritti della persona.

*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma

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