Luca Bianchi e Gianfranco Viesti

Obiettivi chiari/ La precisione che serve sulle opere del Recovery

di Luca Bianchi e Gianfranco Viesti
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Martedì 9 Marzo 2021, 00:26

Con l’audizione del Ministro Daniele Franco si è aperta una fondamentale fase di discussione del Piano di Rilancio. Persino inutile sottolineare la straordinaria importanza di questo documento, che segnerà la politica economica italiana per almeno un lustro, e da cui dipende non solo la ripresa economica ma anche la trasformazione del nostro Paese. La sua transizione energetica e digitale, la riduzione delle sue disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali.

Quest’ultimo punto assume particolare importanza. Per la rilevanza dei divari interni al Paese; non va infatti dimenticato che sono proprio le condizioni del Sud che in base ai criteri di riparto europei hanno determinato la dimensione del finanziamento destinato all’Italia. Per motivi di uguaglianza fra i cittadini. Per motivi di efficienza economica, dato che gli investimenti nelle aree più deboli del paese hanno un moltiplicatore (cioè un effetto di spinta dell’economia) più elevato e determinano impatti sull’attività produttiva dell’intero sistema nazionale. Per motivi politici: il recupero del ritardo accumulato dall’Italia in Europa si supera tenendo insieme le parti del Paese in una strategia di sviluppo comune.

Che cosa e quanto si farà in tutti territori del paese, e in particolare nel Mezzogiorno, sarà decisivo; è utile ricordare che mentre, auspicabilmente, la ripresa a partire dal secondo semestre dovrebbe essere forte nelle aree più industrializzate del Paese, grazie anche al contributo del commercio internazionale, nei territori del Centro-Sud con meno industria e più servizi la ripresa rischia di essere debole e ha dunque bisogno di una forte iniezione di investimenti pubblici. Nella sua audizione di ieri il Ministro Franco ha fatto un generale riferimento al criterio che assegnerebbe al Mezzogiorno almeno il 34% dei fondi. Ma non è solo un problema di riferimenti generali e percentuali, è necessaria una chiara identificazione di strategie, obiettivi ed interventi che garantiscano la coerenza con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze e accelerare la ripresa. A tale fine abbiamo predisposto, insieme ad un gruppo di esperti, un breve documento che prova ad individuare i nodi chiave.

Certamente, c’è un tema di indirizzo complessivo del Piano, che dovrebbe rendere esplicito il contributo essenziale che il Mezzogiorno può fornire al rilancio del paese: nella transizione “green”, nella logistica, nelle nuove attività manifatturiere, nella trasformazione digitale specie delle sue aree urbane. Ma questo non può rimanere una mera dichiarazione di intenti: deve tradursi nei due principi cardine. Primo: di allocare gli investimenti con l’obiettivo di ridurre significativamente le disparità nelle infrastrutture e nel capitale pubblico. Secondo: di garantire progressivamente servizi pubblici, a partire da istruzione e salute, di pari quantità e qualità nelle diverse aree del Paese.

Ma seguire questi principi ha un’implicazione fondamentale: individuare con precisione nel Documento (come d’altronde ci chiede la Commissione) la localizzazione territoriale di tutti gli investimenti previsti; e dove ci saranno bandi per progetti, i criteri che essi seguiranno per ottenere una allocazione equilibrata della spesa.

Ma ad essere importante non è solo la spesa: lo sono ancora di più i “risultati attesi” di ogni intervento che il Governo si impegna, con la Commissione Europea e con i cittadini, a raggiungere al 2026. Non si tratta di dire (come nell’attuale versione): spenderemo per asili nido; neanche basta dire: spenderemo per asili nido riducendo le fortissime disuguaglianze territoriali nella loro localizzazione; si tratta di dire: interverremo in modo tale da garantire che il 33% dei bambini da 0 a 2 anni del Sud, nel 2026, frequenterà un asilo nido. Numeri precisi in tutti i progetti.

Se questa, come noi auspichiamo, sarà la logica, il Piano non potrà che contenere una tabella di sintesi con la localizzazione territoriale di tutta la spesa. Una tabella (a differenza di quanto accade ora), riferita ai soli progetti nuovi; e solo a quelli nuovi finanziati con le risorse del Ngeu (al netto degli altri fondi di cofinanziamento, Fsc e React-Eu, che hanno già una destinazione territoriale vincolata e che vanno coordinati con il Piano). Per evitare il rischio che “la quota del Sud” sia prevalentemente fatta di progetti già finanziati e di risorse già disponibili.

Ma se così fosse, come noi auspichiamo, infine non potrebbe che scaturirne – dato che bisogna garantire all’Europa la cantierabilità nel 2023 e la realizzazione nel 2026 degli interventi – un fortissimo impegno del governo a rafforzare le capacità delle amministrazioni pubbliche territoriali di tutto il Paese, perché la spesa si faccia e i risultati si ottengano. E’ quello che chiede anche l’associazione nazionale dei Comuni (Anci). E quindi a garantire risorse a regime perché quegli asili nido non siano solo costruiti, ma anche aperti e funzionanti. Il rischio evidentissimo è che senza questi impegni, le amministrazioni più forti e capaci, con maggiori risorse, con progetti già pronti, siano destinatarie della fetta più grande della torta, aumentando le disparità. Un rischio, che per alcuni può essere un implicito obiettivo.

Il senso del nostro documento è che nelle prossime settimane ci giochiamo moltissimo; e ce lo giochiamo non con le dichiarazioni generiche, ma con i precisi contenuti, i dettagliati numeri del Piano, pagina per pagina, missione per missione. Un documento tecnicamente complesso, certo. Ma dalla cui lettura dovrebbe a nostro avviso scaturire un messaggio politico limpido: l’Italia riparte tutta insieme.

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