Eraldo Affinati

Morire per motivi (apparentemente) futili/ ​I nostri ragazzi sempre in bilico tra la rabbia e la depressione

di Eraldo Affinati
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Sabato 6 Febbraio 2021, 00:10

“Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia”: così Jacopo Ortis, nel capolavoro giovanile foscoliano, annunciava all’amico Lorenzo la propria profonda amarezza, dopo che Napoleone Bonaparte aveva venduto Venezia all’Austria tradendo gli ideali democratici nei quali molti italiani avevano creduto, la stessa inconsolabile delusione che, di lì a poco, lo porterà a mettere fine alla sua esistenza pugnalandosi a morte. Un tempo i ragazzi si suicidavano per ragioni politiche. Oppure sentimentali, come aveva fatto, pochi anni prima, il Werther di Johann Wolfgang von Goethe, innamorato di una donna proibita perché promessa sposa ad un altro uomo. 

Oggi adolescenti e perfino bambini arrivano a togliersi la vita per motivi solo apparentemente assai più futili: la Procura di Roma ha messo sul registro degli indagati il professore di un diciassettenne che si impiccò due anni fa nel garage di casa dopo essere stato deriso. Abbiamo ancora nella memoria la piccola di dieci anni che a Palermo si è soffocata nella sua stanza dopo aver accettato di partecipare a una sfida estrema su TikTok, il social network il cui accesso ai minori di tredici anni è stato finalmente bloccato dal Garante della privacy. Per non parlare dei numerosi tentativi di suicidio da parte di minorenni recentemente segnalati non solo nel nostro Paese, spesso legati al clima claustrofobico prodotto dalla pandemia che, come ben sappiamo, costringe tutti noi a un isolamento innaturale di fronte agli schermi grandi e piccoli.

Sul banco degli imputati sta, come una vecchia strega, la famigerata Didattica A Distanza che, secondo alcuni osservatori, stravolge l’equilibrio psichico dei giovani spingendo i più fragili fra loro a compiere gesti estremi e autolesionistici. In realtà sarebbe troppo semplice ragionare così schematicamente. Dobbiamo sempre considerare che l’adolescenza non è mai, di per sé, una stagione di mezze misure.

A quindici, sedici anni, tutto diventa estremo: o bianco o nero, o vita o morte. I ragazzi devono mettersi in gioco, è come se fossero chiamati a rifare nel giro di poco tempo la storia dell’umanità: forgiare il carattere, imparare il rispetto delle regole, incanalare l’istinto, individuare gli obiettivi da realizzare. Sono in pochi ad avere le idee chiare sul proprio avvenire. Basta un niente per far scattare la rabbia, o la depressione. Inoltre la nuova civiltà digitale provoca la deflagrazione del desiderio. Tutto, almeno in teoria, sembra essere possibile: è un’illusione, ma prima di capirlo ci si può bruciare, specie se non si hanno accanto modelli di adulti credibili. 

Ecco perché l’istruzione pubblica diventa fondamentale: non esiste altro presidio etico così imprescindibile. In aula dovrebbero venire ripristinate le gerarchie di valore indicando agli alunni ciò che è importante e ciò che non lo è. Non vogliamo alludere soltanto al patrimonio culturale che ogni generazione è chiamata a consegnare a chi viene dopo. Senza la socialità offerta dalla scuola in presenza, la sua vegetazione di affetti ma anche la scansione della giornata imposta dall’orario didattico, l’adolescente perde i riferimenti, non sa più come e dove orientare la propria smania d’infinito e rischia di sprofondare nel vuoto. Il Covid 19, che ha reso obbligatoria la chiusura delle scuole, non sta causando soltanto morti. La pandemia planetaria rischia di depositare le sue uova avvelenate anche nel futuro perché i giovani di oggi sono gli adulti di domani e, se non superano insieme a noi la terribile prova del virus, si porteranno per sempre dietro timori e tremori. 

Come uscirne? Per quanto riguarda l’Italia, in questo momento la tanto invocata unità politica auspicata da Mario Draghi, nel segno lungimirante indicato da Sergio Mattarella, rappresenta lo specchio fedele di una coscienza di coralità in cui ognuno di noi dovrebbe riconoscersi.
 

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