Mario Ajello
Mario Ajello

Il rifiuto inaccettabile dei medici no-vax

di Mario Ajello
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Lunedì 28 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 14:34

Il medico che dice «non mi fido del vaccino» non si può sentire. Le stime, secondo cui un operatore sanitario su dieci non è disposto a vaccinarsi, sono sconcertanti e parlano di una irresponsabilità e di un anti-scientismo che fanno a pugni con la tragedia in corso. Quando diciamo che lo Stato deve fare lo Stato, significa che deve imporre non solo restrizioni e distanziamenti ma anche pensare concretamente all’obbligatorietà della vaccinazione.

Che poi è la misura di sicurezza di tutte le misure di sicurezza, il vero strumento per uscire dal tunnel, il primo tassello dell’Italia post-Covid. Che avrà bisogno di uno spirito nuovo e il vaccino - se la campagna anti-infettiva viene organizzata bene e diventa simbolo del primato del fare sulla burocrazia e della tecnica sulla filosofia, sull’ideologia e sulle chiacchiere - può fungere da antipasto. 

Si può capire, o almeno lo può capire chi ha un’idea minuscola e deprimente della politica, che il governo abbia paura dell’impopolarità (anche se dovrebbe pensare alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni) e che quindi non intervenga drasticamente per stabilire l’obbligo vaccinale, temendo le reazioni («Stato totalitario!» «Dittatura sanitaria!») demagogiche e le critiche più che altro strumentali e assai poco lungimiranti. Questo a stento si può capire, nel tempo in cui la politica si è ridotta a follower della gente ed è accucciata nella propria subalternità, ma non si può assolutamente accettare. 

Come minimo, classi dirigenti degne di questo nome - se proprio non hanno il coraggio di arrivare all’obbligo vaccinale per tutti - dovrebbero stabilire che almeno per chi lavora in prima linea nella lotta anti-Covid, per chi è a stretto contatto con i pazienti e con i loro parenti, per chi ha una responsabilità diretta nella salute generale del Paese il dovere di sottoporsi alla puntura non può avere deroghe e non è discutibile. Anzi deve rappresentare il livello minimo di civiltà e di cura del proprio futuro che una nazione è chiamata a darsi. 

E guai a chi, nelle Rsa e negli ospedali, sgarra a questo dovere vaccinale che un governo consapevole della propria missione (laica) dovrebbe avere la forza di stabilire anche sfidando le prevedibili reazioni non giustificate dalla situazione. Non dovrebbe esserci spazio insomma per chi accampa, nelle strutture sanitarie dove la morte è di casa, improbabili obiezioni di coscienza (o meglio, di cattiva coscienza). Per chi si arrampica - questi passatempi lasciamoli agli smanettoni da web - su intollerabili teorie cospirazionistiche (le Forze Oscure del Big Pharma In Agguato) o più diffusamente indulge al peggio della retorica popolaresca alimentata in questi anni dalla politica andante (gli scienziati dicono che i vaccini servono? Ma questo lo dicono loro!). 
Purtroppo, e ciò va segnalato con infinito dispiacere, la mentalità del Nimby (in inglese è Not In My Back Yard e in italiano: Non nel mio cortile) che ha paralizzato l’Italia nell’ultimo decennio si riflette e si amplifica anche nel campo, quella della salute, in cui non dovrebbe proprio: i vaccini? Li facciano gli altri, ma non avvicinate l’ago al mio braccio. 

Una posizione così, se proveniente da chi incarna ogni giorno l’autorità clinica e da chi i vaccini li dovrebbe fare non solo a se stesso ma anche agli altri, è paradossale e andrebbe presa di petto. Impedita e sanzionata. Invece, il governo esita nel contrastare la gravità dell’obiezione di coscienza e nella scelta di misure stringenti per vanificarla. Una debolezza che rischia di produrre un deficit di credibilità nello Stato da parte dei cittadini. Una crisi di fiducia da parte di chi ha bisogno di essere difeso e non può accettare tentennamenti o posizioni di comodo in questa battaglia ma soprattutto non può non notare una diversità di trattamento. 
Sintetizzabile così.

Nel bilancio della pandemia, in molti casi si è visto il governo scontentare tante categorie. Facendo chiudere i negozi con le ovvie conseguenze per i negozianti. Stabilendo lockdown per le imprese e i costi delle chiusure gravano e continueranno a gravare su imprenditori e lavoratori. Costringendo alla Dad milioni di studenti che avrebbero preferito la presenza in classe. Hanno tutti dovuto stringere i denti e la cinghia. Un intero Paese ha accettato privazioni e sacrifici.

Sprecare tutto questo per una obiezione di coscienza o per una sfiducia anti-scientifica da parte di chi la scienza dovrebbe incarnarla nel proprio impegno quotidiano è una beffa e un comportamento insieme non patriottico e ingiusto nei confronti del resto degli italiani. A cui lo Stato ha avuto il coraggio di mettere dei paletti (il ristorante chiude alle 18 e i ristori non bastano) e ora il paletto da mettere agli operatori sanitari, per un senso di equità e soprattutto di pubblica felicità perché questa in prospettiva è la funzione del vaccino, non può che essere il pizzico dell’iniezione. 

Dunque in questi mesi tutti hanno pagato un prezzo all’interesse generale. Adesso il prezzo per chi lavora nella sanità è quello di sottoporsi al vaccino (come la maggior parte di loro meritoriamente ha deciso di fare e l’infermiera ventinovenne dell’ospedale “Spallanzani” di Roma è un esempio magnifico) ed è un costo minimo e ovvio. La differenza tra questa pandemia e quelle precedenti all’Aids è che questa non si è esaurita da sola (come la peste nel romanzo di Camus). Siamo stati noi, sperabilmente e chissà quando, a porle fine con un vaccino preparato a tempo di record e grazie a uno specialissimo investimento finanziario e culturale di tanti Paesi. Chi lo rifiuta non solo disonora il camice bianco ma alza una bandiera bianca che il governo non può permettere che venga sventolata.

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