Maria Elisabetta Alberti Casellati*

La tragedia della Marmolada che parla alle nostre coscienze

La tragedia della Marmolada che parla alle nostre coscienze
di Maria Elisabetta Alberti Casellati*
4 Minuti di Lettura
Giovedì 7 Luglio 2022, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 23:30

Gentile Direttore,

le immagini della Marmolada travolta da una massa di ghiaccio  e detriti rappresentano una dolorosa ferita per ciascuno di noi. Grande è la sofferenza per le vittime accertate, forte la preoccupazione per i feriti e i dispersi. A loro e alle loro famiglie va il nostro primo pensiero, consapevoli che questa tragedia ci riguarda direttamente, come comunità nazionale e come individui uniti da sentimenti di autentica solidarietà, vicinanza e condivisione di fronte alla brutale casualità del destino. 


Ma non è possibile fermarsi alle pagine del dramma umano. Quello che è successo interroga le nostre coscienze e alla preoccupazione del momento affianca pressanti quesiti sulle cause strutturali. Sì, perché l’Italia è un Paese dove le emergenze ambientali e idrogeologiche sono di fatto diventate la normalità. Dal 2014 ad oggi, 139 sono gli stati di emergenza nazionali proclamati per rischi ambientali, meteorologici o idrogeologici, sismici o vulcanici. A fronte di trasferimenti per oltre 5 miliardi di euro, incalcolabili sono i danni umani, sociali, ambientali ed economici. 
E’ evidente che il perpetuarsi di situazioni di calamità di ogni tipo si radica in parte nella vulnerabilità idrogeologica e ambientale del Paese. Ho avuto modo di ripeterlo in tante occasioni.

L’Italia vanta un territorio tra i più belli e insieme tra i più fragili al mondo. I dati disponibili accertano che circa il 94% dei Comuni sarebbe a rischio di dissesto idrogeologico e che nel 16,6% delle aree parliamo di una pericolosità molto elevata. Questo significa che 8 milioni di italiani, 565 mila edifici, oltre 84 mila industrie e servizi con 220 mila addetti e 213 mila beni architettonici, monumentali e archeologici sono fortemente esposti a rischio di frane e alluvioni. A questo si aggiungono i fenomeni legati all’erosione costiera e all’attività sismica, profondamente radicati nella morfologia della penisola. 
Accanto alle cause naturali non possiamo però sottovalutare quelle umane. I segni spesso indelebili che le calamità idrogeologiche lasciano sul nostro territorio dimostrano che gli sforzi fatti finora per la prevenzione sono insufficienti. 


E’ un problema di fronte al quale non possiamo più voltare le spalle. Lo ripeto con forza dall’inizio della legislatura. Non è più possibile parlare di “emergenza”, come se si trattasse di fenomeni eccezionali e imprevedibili, ma di un pericolo permanente. La difesa dell’Italia non è un tema di cui occuparsi ad ondate cicliche, spesso in risposta all’ennesimo “bollettino di guerra”.

Piuttosto, dobbiamo comprendere che è giunto il momento di “mettere un casco” all’Italia e per questo servono risposte rapide.


Due sono le priorità da considerare. 
La prima è legata alla prevenzione. Sul nostro territorio pende una spada di Damocle ed è urgente attrezzarsi per attutirne l’impatto. Ci vuole più coraggio negli interventi di messa in sicurezza, di contenimento dei tanti fattori di rischio. Serve agire al più presto – utilizzando anche le risorse del PNRR – e in sinergia con Regioni ed Enti locali. Per fare questo bisogna innanzitutto definire un metodo di lavoro fondato sulla mappatura del territorio, sulla individuazione degli interventi prioritari e sulla realizzazione in tempi celeri di azioni concrete di protezione. E poi serve mettere le politiche per il territorio al centro dei programmi di sviluppo del Sistema Paese, consapevoli che è proprio sul territorio che si basano alcuni comparti strategici della nostra economia nazionale, come il turismo, l’agricoltura e l’enogastronomia. 


La seconda priorità è legata all’impegno anche sul fronte sovranazionale a favore della sostenibilità ambientale. I cambiamenti climatici a cui siamo assistendo testimoniano che è necessario un cambio di paradigma e che la ricerca di metodi di produzione e stili di vita sostenibili deve diventare una comune priorità. Oggi abbiamo gli strumenti per fare camminare l’economia insieme all’ambiente. Anche l’Unione europea si sta confrontando in queste settimane con un pacchetto di misure molto ambizioso per la riduzione delle emissioni di gas nocivi del 55% entro il 2030. 


Come ho avuto modo di sottolineare, si tratta di un obiettivo largamente condivisibile, anche se permangono rilevanti perplessità sulle soluzioni e sui tempi per raggiungere tale traguardo, perché è evidente che la difesa dell’ecosistema richiede azioni puntuali, realizzabili e soprattutto costruttive. 
E allora penso che sia sul fronte della prevenzione che su quello della sostenibilità ambientale la ricetta stia nella capacità di coniugare visione e pragmatismo. Proporre soluzioni fondate sulla conoscenza del territorio, sullo studio approfondito delle caratteristiche geomorfologiche, sociali ed economiche perché le debolezze siano affrontate e gestite prima di diventare minacce e perché gli obiettivi di tutela ambientale non siano mai uno slogan o un manifesto, ma un autentico progetto di vita per il benessere delle future generazioni.


* Presidente del Senato
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA