Fabrizio Agnocchetti

L'intervento/ Se il disegno di Macron non tiene conto degli Usa

di Fabrizio Agnocchetti
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Domenica 26 Marzo 2023, 00:04

La tradizionale conflittualità verticale della società francese torna a manifestarsi, stavolta sull’annosa questione della riforma pensionistica. Da un trentennio ci sbattono la testa tutti gli inquilini dell’Eliseo, indipendentemente dal colore politico: Chirac, Sarkozy, Hollande e ora Macron. La mancanza di una maggioranza governativa e il ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione per scavalcare il voto parlamentare, inaspriscono oggi lo scontro nell’agone politico e nelle strade. Tuttavia l’attuale panorama politico frammentato e la minore governabilità non possono spiegare la recrudescenza della violenza che funesta la società francese da quasi un decennio. Dagli attentati islamisti alle guerriglie urbane dei gilets jaunes, dalla crescente aggressività delle rivendicazioni degli islamo-gauchistes alle tribune simil-golpiste dei militari, la Francia si scopre nel mezzo di una guerra civile strisciante, di cui lo scontro sull’ennesimo tentativo di riforma strutturale del generosissimo Stato Sociale sembra essere solo l’ultimo pretestuoso episodio. La questione identitaria è la causa profonda della violenta lacerazione della società transalpina. Da un lato i “multiculturalisti”, gli eredi degli ideali rivoluzionari, determinano la postura francese, interna ed esterna, almeno dagli anni Ottanta, quando il “mitterandismo” perseguì l’integrazione degli immigrati e la progressiva diluizione della sovranità nazionale all’interno di un contenitore europeo. Il fallimento del modello multiculturale ha generato il fenomeno del “separatismo”, ossia la sottrazione all’autorità repubblicana di territori abitati quasi esclusivamente da gruppi etnici e religiosi immigrati, che rivendicano una fiera estraneità – e ostilità - all’identità nazionale. 

Al contempo, il vincolo fiscale tedesco ha degradato la situazione economica e sociale, aggravata dalla sostanziale coincidenza tra classi disagiate e i suddetti gruppi non integrati.

Entrambi i fenomeni sono all’origine di una crescente insofferenza nel ceto medio verso il multiculturalismo e la conseguente ribalta del mai domo modello “monoculturalista”, erede diretto della tradizione “bonapartista”: recupero di sovranità nazionale con rinnovata proiezione imperiale, esternamente; assimilazione dell’immigrazione, internamente. Se l’integrazione salvaguarda e tutela le differenze culturali degli immigrati, ritendendole fattore di arricchimento di una società plurale, l’assimilazione impone la totale spoliazione di qualsiasi alterità culturale, la recisione di qualsiasi legame con le origini. 

Macron, probabilmente il più lucido presidente dai tempi di De Gaulle nella visione strategica, persegue l’ambizioso progetto assimilazionista, assumendosi la responsabilità dell’alto livello di violenza sociale che esso comporta. Soprattutto a sinistra, dove la versione più estrema dei multiculturalisti, incontra le istanze degli islamisti. Ma anche a destra, dove il lepenismo più profondo sfocia nel sovranismo etnico. Tenendo conto del fatto che ogni progetto di assimilazione degli immigrati è il primo passo verso una politica di potenza, il disegno neobonapartista di Macron mira quindi alla ricostruzione di una sfera d’influenza francese tra l’Europa, il Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente. Disegno talmente ambizioso da risultare oggi velleitario, anche perché necessiterebbe dell’emancipazione dalla tutela americana per realizzarsi compiutamente.

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