Alberto Brambilla
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La lotta al Covid/ Quei risultati mancati nonostante le chiusure

di Alberto Brambilla
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Martedì 27 Aprile 2021, 00:08

Dal quinto aggiornamento sugli effetti sanitari ed economici del Covid-19 sul nostro Paese elaborato da Itinerari Previdenziali, risulta evidente la pesante eredità lasciata dal governo Conte 2 sia al governo Draghi, che non a caso ha radicalmente cambiato la squadra operativa, sia al Paese quanto a numero di decessi e disastrosa situazione economica. 
Non sembri superfluo ricordare quante vite umane si sarebbero potute salvare e quante aziende piccole e medie oggi non si troverebbero in condizioni disperate, se al posto dell’inesperienza e l’incapacità del partito dell’uno vale uno - sebbene non tutte le responsabilità vanno addebitate al partito fondato da Beppe Grillo - avessimo potuto disporre di una guida più professionale e meno estemporanea.
Ma ecco in sintesi l’esito dell’indagine di Itinerari Previdenziali, un primo bilancio sintetico a poco più di anno dall’avvio del primo lockdown.

La ricerca individua per i principali 30 Paesi quattro parametri-base ricavati dai dati del Fondo Monetario per la parte economica e della John Hopkins University per quella sanitaria e cioè: il numero dei decessi ogni 100 mila abitanti, per valutare la risposta all’emergenza dei vari governi; la variazione del Pil nel 2020 per misurare le conseguenze economiche dei diversi interventi; il deficit 2020 che indica quanto ogni Paese si è indebitato per far fronte alla pandemia; l’incremento del debito pubblico nel 2020 anche in rapporto al Pil.

Il concetto è semplice: un Paese che ha fatto tante chiusure, bloccato commercio e produzione, perso molto in termini di Pil e fatto tanto debito, dovrebbe almeno aver ottenuto buoni risultati sanitari nella lotta al virus, cioè meno morti; viceversa chi ha chiuso poco e quindi ha esposto maggiormente la popolazione ai contagi, dovrebbe avere registrato più decessi e più problemi sanitari. Ad ognuno di questi indicatori, è stato assegnato un punteggio. Il nostro Paese in base ai dati al 30 marzo si classifica come segue:
- al 3° posto per numero di decessi ogni 100 mila abitanti (178,60) battuti dal Belgio (200,46) e Regno Unito (190,76). Seguono invece Stati Uniti (168) Portogallo, Spagna e Messico (160) e via misurando anche con distanziamenti notevoli;
- all’8° posto per perdita di Pil nel 2020, preceduti da Iraq (12%), Spagna (11,1%), Argentina, Gran Bretagna, Portogallo (10%) e Grecia (9,5%);
- al 12° posto per deficit, dove spiccano Canada e Stati Uniti con circa il 19%, Brasile, Iraq e Gran Bretagna (tra il 17 e il 16%);
- al 3° posto per incremento del debito pubblico, superati dal Giappone che nel 2020 ha avuto un aumento del 28,2% e dalla Spagna con il 27,6% contro il nostro 27%; seguono Canada con il 26%, Gran Bretagna e Stati Uniti con il 22% e Francia con il 20%.

La sintesi: in questa prima classifica l’Italia si è guadagnata il terzo peggior piazzamento con un indicatore generale fermo a 20,37 punti preceduta da Gran Bretagna (21,88) e Spagna (21,74).

Per avere una misura dinamica della risposta al Covid-19 di ognuno dei Paesi esaminati, Itinerari ha poi introdotto altri due misuratori: l’indice di mortalità, cioè il numero di decessi registrati rapportati al totale dei contagiati, e il numero di vaccinati ogni 100 abitanti. Per l’indice di mortalità l’Italia si classifica al 4° peggior posto con un valore pari al 3,1%, superata però da Paesi non propriamente esemplari per trend economico o contesto sociale: Messico (9,1), Egitto (5,9), Cina e Iran. Quanto al numero di vaccinati (fonte Our World in Data, somma tra la prima e la seconda dose), al 30 marzo l’Italia era appena sopra la media con l’11%, superata da Israele (60,4%), Gran Bretagna (45%), Stati Uniti (28%), Portogallo, Francia e appena prima della Spagna.

La conclusione: quello che è certo è che l’Italia nell’anno del Covid non è stata un modello di efficienza. Tutt’altro. Fortunatamente i dati di fine marzo e dei primi giorni di aprile fanno segnare un’inversione di tendenza sul lato dei vaccini e sull’organizzazione in generale. Apprezzabile anche la schiettezza del premier Draghi sullo stato dell’emergenza, descritta senza gli infingimenti che hanno costellato i molteplici proclami via cavo e gli improbabili tweet notturni del Conte 2.
 

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