Alberto Brambilla
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Bilancio mesto/ Un anno dal lockdown: poche luci, molte ombre

di Alberto Brambilla
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Mercoledì 10 Marzo 2021, 00:38

È passato un anno dall’11 marzo 2020 quando l’Oms, dopo settimane di imbarazzi e contraddizioni («Le mascherine non servono a nulla», ricordate?), dichiarò lo «stato di Pandemia» e il governo Conte con il primo Dpcm decretò il lockdown per tutto il territorio italiano. Qual è stata la risposta del governo in questi 12 mesi e qual è la situazione attuale? La risposta più banale è che siamo in vista di un nuovo lockdown totale.

E che la scienza sa ancora poco del virus e non sa quanto possono durare gli anticorpi. 
L’inizio dell’emergenza non è stato il massimo; riavvolgendo il nastro dei ricordi incontriamo il ministero della Salute e una nutrita pattuglia di scienziati domestici che fino al 21 febbraio, data in cui la giovane dottoressa Annalisa Malara di Codogno scopre l’esistenza del Covid-19 sul paziente 1 e del primo decesso in Italia a Vo’ Euganeo, non si accorgono di nulla, nemmeno del fatto che in Italia non esiste, come invece dovrebbe, un piano pandemico. Non si accorgono neppure che un qualche virus è già in circolazione; eppure l’Istat aveva segnalato un aumento dei decessi per malattie respiratorie già nei primi mesi del 2019, tant’è che a dicembre vengono rinvenute tracce di Rna del virus nelle acque reflue di Torino e Milano. Il che significa che il Sars-Cov-2 forse c’era già da novembre, e questo dato verrà confermato dalle tracce rilevate nei campioni istologici di novembre il che retrodata ancor più la presenza del Covid-19. Addirittura a fine dicembre negli ospedali di Milano (Niguarda e San Paolo), Como e Piacenza si registra un afflusso quasi doppio di «polmoniti anomale». 

Eppure il 5 gennaio 2020 il ministero della Salute dirama una circolare in cui riporta che «l’Oms raccomanda di evitare qualsiasi restrizione ai viaggi»; i presidenti delle Regioni Veneto e Lombardia, della Lega, chiedono che almeno coloro che arrivano dalla Cina vengano sottoposti a test ma sono tacciati di razzismo e scoppiano le solite polemiche all’italiana. Poi il 31 gennaio il ministro della Salute vieta i voli dalla Cina ma lascia liberi gli arrivi da tutti gli scali intermedi accelerando così la propagazione del virus. 

Se Roberto Speranza brancola nel buio e dice bugie sul “piano pandemico che non c’è” e il suo consigliere Walter Ricciardi afferma il 25 febbraio 2020 che «le mascherine alle persone sane (vai a capire chi è sano e chi è asintomatico ma lo scienziato non lo sapeva) non servono a niente», il premier Conte li batte tutti e il 27 gennaio dichiara che «l’Italia è prontissima» a fronteggiare l’emergenza avendo adottato «misure cautelative all’avanguardia»; scopriremo poi che non esisteva alcun piano pandemico; c’era solo quello del 2006 neppure aggiornato al Sars-Cov-1 risalente al 2002-2003. 

Così fino a maggio siamo stati senza mascherine, Dpi, gel e così via; eppure tutte le tv e i giornali mostravano dai primi di gennaio 2020 le tragiche immagini di Wuhan, ma nessuno si è posto la semplice domanda: «Se capitasse anche a noi, saremmo pronti?».

Quanti morti avremmo evitato con una classe politica e virologi più competenti? E non si dica che è successo così in tutti i Paesi. Non è così. L’Italia è fra i tre peggiori Paesi dei 30 principali per numero di decessi ogni 100 mila abitanti (161,36, ci battono solo Belgio e Regno Unito ma li stiamo raggiungendo), per numero di morti sul totale dei contagiati, per numero di nuovi disoccupati, per perdita di Pil e per debito pubblico. Solo il Giappone ci ha battuto; e tuttavia con una popolazione più vecchia della nostra ha avuto solo 6,21 decessi ogni 100 mila abitanti. 

Che dire poi dei 7 mesi persi tra marzo e ottobre nei quali non sono stati fatti progressi nei trasporti, nelle scuole, nelle attività? Uniche risposte: difesa e ristori (tutti a debito), cioè chiusura di ristoranti, bar, attività varie. E magari, come è successo a San Valentino, lo stop è arrivato addirittura la sera prima, mandando alla malora preparativi e acquisti effettuati per la festa. 

Si è riusciti a creare quasi un milione di nuovi disoccupati e un aumento del debito pubblico del 27%. Si è fatto poco nelle terapie, se non quelle praticate dal personale sanitario degli ospedali, in prima linea a morire. Nessuno, salvo il commissario Arcuri, è stato sacrificato in questo falò del buon senso; tutti sono rimasti ai loro posti. E se il governo è caduto, la causa prima non è l’inefficienza dimostrata ma mere ragioni politiche: il fatto che ciò abbia consentito di affidare l’incarico di governo a un campione di efficienza come Mario Draghi, non cancella le responsabilità di ministri e ministre che negli ultimi tredici anni hanno accettato passivamente tagli pesanti alla Sanità nazionale rendendo tutto più difficile: in Olanda per molto, molto meno il premier Mark Rutte si è dimesso con il capo chino. 

La cosa sconvolgente è che ancora oggi nessuno sa quanto durano gli anticorpi, perché il ministero non ha fatto nulla se non commissionare all’Istat una ricerca campionaria su 160 mila persone su 3 milioni di contagiati (che probabilmente sono anche il triplo, secondo le indagini condotte dall’Imperial College). Come si fa a programmare un piano vaccinale se non si conoscono queste elementari informazioni? A noi cittadini, soprattutto a quelli anziani che hanno una prospettiva di vaccino ancora indefinita, non resta che augurarsi che Draghi e la sua squadra di tecnici mettano fine a questo scempio del buon senso avviando il Paese entro binari di efficienza da troppo tempo in disuso.
 

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