Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

La prossima sfida/ L’importanza della stabilità per ripartire dopo la crisi

di Paolo Balduzzi
5 Minuti di Lettura
Domenica 7 Febbraio 2021, 00:10

È ormai imminente la nascita del Governo Draghi. Il terzo, e probabilmente ultimo, di questa legislatura. Anche solo per questa ragione, l’esecutivo sarebbe un eccellente esempio da libro di testo di come uno stesso Parlamento possa esprimere maggioranze anche molto diverse tra loro. Che questo sia un pregio o un difetto dei regimi parlamentari, lo possono decidere i lettori. È possibile invece sbilanciarsi sul fatto che, visti la recentissima crisi politica e lo stallo dell’esecutivo (quest’ultimo, a onor del vero, risalente ormai a diversi mesi fa), la nascita del Governo Draghi sia un’ottima notizia, almeno nelle premesse. Del resto, le capacità tecniche, politiche e diplomatiche del primo ministro in pectore sono fuori da ogni discussione. Ma è importante non confondersi su quali di queste capacità siano quelle più importanti. Perché nonostante da molti il prossimo esecutivo sarà battezzato come tecnico, sarà proprio la sua valenza politica a poter fare la differenza.

Come Presidente della Banca centrale europea (Bce), Draghi ha dato prova di sapersi muovere e agire tenendo testa – se non addirittura convincendo – le più diverse cancellerie europee rispetto alla necessità di una visione comune, fosse anche solo di politica monetaria. E se l’attuale crisi sanitaria ed economica vede preponderante il ruolo della Commissione europea sulla Bce esattamente l’opposto è successo a seguito della crisi dei debiti sovrani di dieci anni fa, quando quelle ormai celeberrime tre parole (“whatever it takes”) hanno contribuito molto più delle varie regole fiscali approvate nello stesso periodo dalla Commissione. 

Ma perché insistere così tanto sulle abilità politiche di Mario Draghi? Perché quello che tutti stanno descrivendo, nemmeno troppo a torto, come ennesimo fallimento della politica, potrebbe invece rivelarsi come l’origine della più importante stagione di riforme della Repubblica. Una stagione che richiede, inutile negarlo, un protagonismo della politica e meno della tecnica. Sia chiaro, l’apertura della crisi in questo periodo resta uno degli azzardi degli ultimi anni. Ma la risposta del Presidente della Repubblica è stata magistrale. E, ancora una volta, squisitamente politica: in mancanza di una chiara maggioranza parlamentare, infatti, la risposta più meccanica sarebbe stata sicuramente lo scioglimento delle Camere. Obbligare invece le forze politiche in Parlamento a mettere in discussione la propria propaganda e a confrontarsi con una personalità come Mario Draghi è stato molto coraggioso.

Se le reputazioni di Mattarella e Draghi sono le premesse di questa operazione, la prova più importante, e sicuramente più rischiosa, è quella che spetta proprio al Parlamento. Anche se questo governo nasce nell’emergenza economica, sanitaria e istituzionale, il suo programma non può avere una prospettiva solo emergenziale. Chi volesse imporre una scadenza all’esperienza del governo Draghi dovrebbe perlomeno dichiararlo chiaramente, prendendosi le conseguenti responsabilità.

Molto semplice sarà infatti l’esperienza del governo nei primissimi mesi. L’invito, tanto del Presidente della Repubblica quanto del Presidente del Consiglio, all’unità del Parlamento condizionerà sicuramente le forze politiche, che garantiranno lealtà, almeno fino alla consegna del Piano nazionale di ripresa e resilienza e al completamento del programma vaccinale. Ma sarebbe un errore preoccuparsi solo di gestire l’emergenza.

Perché questa prima o poi finirà. E quando finirà, il Paese dovrà dimostrare di essere pronto a ripartire al massimo delle sue possibilità. Per fare questo non bastano certo solo i soldi dell’Unione europea. Bensì il coraggio di mettere mano ai quei vizi del nostro sistema economico e politico, tanto noti a chi si occupa di cosa pubblica ma mai seriamente affrontati dal legislatore: la riforma della giustizia civile e di quella amministrativa, nonché di quella della burocrazia. Sono questi i primi interventi che dovrebbero fare da cornice al sistema economico, così da garantire maggiore certezza, del diritto e delle tempistiche, a chi vorrà fare impresa nel nostro Paese. E poi a seguire tutti gli altri: la riforma del fisco, la lotta all’evasione, la riforma delle pensioni, il federalismo differenziato, la revisione dello stato sociale e quindi del reddito di cittadinanza. Temi su cui, c’è da scommetterci, il sostegno del Parlamento si assottiglierà sempre di più se il governo sarà guidato solo da una visione tecnica e non politica. Troppe differenze al momento dividono i partiti in Parlamento, troppi proclami elettorali sono stati spesi negli anni per garantirsi qualche voto in più, anche e soprattutto a discapito dello sviluppo del Paese e di una maggiore equità, anche intergenerazionale. Senza dimenticare, infine, la necessità di pensare a una nuova politica industriale, meno avvezza a tenere in vita aziende ormai fuori dal mercato ma più orientata alla promozione di competitività e sviluppo sostenibile.

È stato proprio Draghi, giusto poche settimane fa presentando il rapporto 2020 del think tank G30, a ricordare i pericoli di un cortocircuito tra banche, credito e piccola impresa. Un monito fatto al mondo intero, ma sin da subito apparso perfettamente calzante proprio per il nostro Paese. Paese che si trova di fronte all’ultima grande occasione per recuperare la crescita che non c’è stata negli ultimi trent’anni. 

Bisogna esserne consapevoli: senza Draghi e Mattarella, saremmo già oltre il tempo consentito. Così, fortunatamente, non è. Ma se non vogliamo sprecare anche questa chance, i nodi di queste riforme, tanto scomode quanto necessarie, dovranno venire al pettine. Sarà proprio in quei momenti, se le cose andranno male, che si potrà definitivamente dichiarare il fallimento della politica. Oppure, al contrario e sorprendentemente, testimoniarne la rinascita. E questa sarà, ce lo si augura, un’altra ottima ragione per ricordare il governo Draghi nei libri di testo. 
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA