Federico Guiglia
Federico Guiglia

Iter in salita/ Se l’Italiano non è ancora previsto dalla Costituzione

di Federico Guiglia
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Mercoledì 21 Dicembre 2022, 00:17

La Repubblica parla italiano, ma la Costituzione non lo sa. Dice, invece, la Costituzione della Francia: “Lingua ufficiale della Repubblica è il francese”. Dice la Costituzione della Spagna: “Il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla”. Dice la Costituzione del Portogallo: compito fondamentale dello Stato è “assicurare l’insegnamento e la valorizzazione permanente, difendere l’uso e promuovere la diffusione internazionale della lingua portoghese”. Dice la Costituzione della Romania: “In Romania la lingua ufficiale è la lingua romena”.

Che dice, allora, la Costituzione dell’Italia? Niente. Non dice niente sulla lingua di Dante, e continua a non dire niente, neppure dopo i 700 anni dalla morte del padre dell’italiano, e poeta universale, da poco celebrati nel 2021. Siamo l’unica Nazione fra quelle di lingua neo-latina in Europa a non avere scolpito nella propria legge delle leggi che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Quasi un dispetto della storia, se si pensa che, di tutti i Paesi parlanti un idioma discendente ed evoluto dal latino, noi siamo gli eredi più diretti e vicini. Eppure, meglio di noi hanno fatto i fratelli spagnoli, i cugini francesi, i familiari portoghesi e romeni. Tutti hanno capito il significato e la bellezza di ricordare tra i primissimi articoli delle loro Costituzioni, che la lingua è l’identità primaria del patrimonio culturale e nazionale. A Roma da quasi trent’anni ogni legislatura prova ad aggiungere all’articolo 12 che l’“italiano è la lingua ufficiale della Repubblica”. Sette paroline soltanto, ma importantissime. Tuttavia, la modifica costituzionale non arriva mai alla quarta votazione del Parlamento e in Gazzetta Ufficiale. Parte in una Camera e s’arena nell’altra.

Legislatori di destra (Pietro Mitolo, che aprì la strada nella legislatura del 1996), di centrosinistra e centrodestra nel 2006 e nel 2013, insomma onorevoli di ogni colore politico che nel corso del tempo hanno sempre votato l’altrui disegno di legge non sono, però, riusciti mai a portare a termine quel che è già sancito da leggi ordinarie (la 482 del 1999). E, ancor più, da norme costituzionali negli Statuti speciali del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta. Ma, soprattutto, da esemplari pronunce della Corte Costituzionale, che hanno stabilito “la centralità costituzionalmente necessaria” della lingua italiana, affermandone l’“ufficialità e la primazia”, come i giudici della Consulta hanno fatto nel 2017 con l’innovativa sentenza numero 42. Essa è citata anche nei manuali di diritto pubblico ma, con ogni evidenza, sconosciuta dai legislatori, nonostante la novità che esprime in epoca di globalizzazione e comunicazione. Il mondo che cambia, ecco la buona ragione che dovrebbe spingere il Parlamento a introdurre il principio che manca per valorizzare la lingua nazionale in Patria e all’estero.
L’italiano è la lingua che integra le persone immigrate e che Papa Francesco divulga nei suoi viaggi per i continenti.

E’ una delle lingue più studiate nelle scuole e Università all’estero ed accomuna oltre 200 milioni di cittadini fra italo-parlanti, discendenti da italiani nel mondo e stranieri interessati per motivi geopolitici, economici, culturali a conoscere una lingua amata anche per la riconosciuta musicalità trasmessa dalle sue vocali a fine parola. Dunque, è pure attraente grazie al suo antico fascino e moderna simpatia per chi italiano non è.

Ma questa ricchezza solo da noi dimenticata, abbiamo oggi l’opportunità di rivalutare al massimo livello a beneficio della Repubblica italiana e degli italiani non meno che dell’umanità. Perché, se nella metà dei teatri dell’universo vanno in scena opere italiane cantate in italiano da grandi artisti italiani e stranieri, come accade, è paradossale che il Belcanto planetario resti senza culla proprio dov’è nato. Ora, con un governo che si può immaginare sensibile alla “lingua nazionale” e un parlamento che dal 1996 in avanti ha sempre confermato il suo consenso trasversale senza riuscire a portarlo fino in fondo, potrebbe essere questa legislatura a intestarsi la norma che colloca definitivamente la lingua italiana in Costituzione.

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