Carlo Nordio
Carlo Nordio

Il Paese che si rialza/Una vittoria che ha il sapore della rinascita

Il Paese che si rialza/Una vittoria che ha il sapore della rinascita
di Carlo Nordio
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Martedì 13 Luglio 2021, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 22:01

Quando, il 12 luglio 1982, i nostri calciatori ritornarono trionfanti esibendo la Coppa del Mondo, il Paese usciva dal periodo più fosco del dopoguerra. 


Dilaniata dal terrorismo sanguinario, logorata dall’economia stagnante, delusa dalla politica imbelle, l’Italia aveva persino assistito all’estremo atto sacrilego contro la persona inviolabile del Sommo Pontefice. Fino a poco tempo prima sembrava che nulla potesse impedire al Paese di precipitare nell’abisso di un nuovo medioevo, reso più sinistro, e forse più duraturo, da una totale perdita di identità. C’erano stati, è vero, segnali di speranza. La liberazione del generale Dozier aveva inferto un duro colpo alle Br, e gli assassini di Moro erano stati catturati. Woityla aveva ripreso vigore, e in America Ronald Reagan lanciava una sfida all’Impero del Male. Ma questo non era sufficiente a rincuorare un’opinione pubblica disorienta e avvilita. Serviva uno scossone emotivo. E questo fu dato dalla vittoria degli Azzurri, che con la sapiente regia mediatica di Sandro Pertini restituirono al Paese, con un colpo solo, prestigio, buonumore e soprattutto autostima. Per l’Italia iniziò un periodo aureo, che come spesso accade fu seguito, per errori, arroganza e omissioni, da un doloroso tracollo. Ma in quel momento, e per alcuni anni, il Paese, risorse.


Oggi la storia si sta ripetendo. E non, per fortuna, nella forma di farsa, ma in quella di festa mobile, di cui la faticosa avanzata del torpedone di Mancini per arrivare a Palazzo Chigi è un’espressione tangibile, e per certi aspetti commovente. Perché dietro questa esaltazione collettiva, spontanea e magari imprudente, si possono intravedere tutti gli elementi di una nuova energia, compressa da sedici mesi di semidetenzione e liberata, in pochi minuti, da una vittoria prestigiosa. 


La storiografia marxista ripudia sprezzante ogni interferenza passionale nello svolgersi degli eventi, perché ne ammette solo le cause strutturali ed economiche. Ma chiunque legga la Storia sgombro da illusori pregiudizi fanatici, sa che il naso di Cleopatra magari non fu determinate, ma ebbe la sua importanza. Forse è non vero che la vittoria di Bartali al Tour de France sventò la rivoluzione dopo l’attentato a Togliatti, e tuttavia placò gli animi e convertì l’ira in entusiasmo. Così è stato domenica per noi a Wembley, e ieri nel centro di Roma: un’esultanza straripante che non si vedeva dall’ingresso del generale Clark dopo la fuga dei nazisti.

Non sappiamo se sia solo lo sfogo della liberazione – temporanea – dalla pandemia. Ma ci piace pensare che si tratti di qualcosa di più profondo, perché talvolta la folla, come l’artista, intuisce in anticipo quei mutamenti che l’analisi razionale non riesce a tradurre in concetti convincenti. 


E quali possono essere queste intuizioni? Proviamo a elencarne alcune. La fiducia che la campagna vaccinale sta producendo i suoi effetti benefici: non eliminerà il virus né i contagi ma, opportunamente accettata e applicata, ridurrà radicalmente le ospedalizzazioni e i decessi. Poi la presenza alla guida del Governo di una personalità prestigiosa, dotata dell’autorevolezza internazionale tale da renderlo affidabile, e della inamovibilità necessitata tale da renderlo insindacabile. E ancora la garanzia di un Capo dello Stato che, al momento del bisogno, ha convertito una soavità vescovile in decisionismo ultimativo, riportando all’ordine un Parlamento disorientato e rivelando, proprio allo stadio londinese, un’ amabile reattività. E infine un’Europa non più diffidente ed ostile, ma pronta a investire, sia pure con oculata vigilanza, nella nostra traballante economia. Ma questo non basta ancora. Le energie di un Paese non risiedono solo nei bilanci attivi e nelle finanze prospere.

Risiedono nella forza morale, che può manifestarsi, e spesso si manifesta, anche in occasioni apparentemente frivole come quelle calcistiche. I fischi che gli inglesi hanno riservato al nostro Inno, che i nostri hanno cantato a squarciagola come Wellington rispose alle provocazioni francesi, hanno dimostrato l’abisso che ormai separa quella che fu la patria delle democrazie occidentali dalla nostra vituperata italietta. Non risulta che le autorità londinesi si siano scusate per la vituperevole gazzarra verso la squadra ospitata. Il Paese della tolleranza e del fair play, si è esibito come un vociferante mercato di bovini mentre suonavano le note di Fratelli d’Italia. I nostri hanno restituito, per dirla con Churchill, “the measure and more than the measure” a questa manifestazione di decadenza culturale. Ed è da qui, che può, e deve iniziare la nostra riscossa.

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