Romano Prodi
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La crisi africana/ L'impatto della guerra sulla fame nel mondo

di Romano Prodi
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Domenica 10 Aprile 2022, 00:02

Riflettendo sulle conseguenze economiche della guerra in Ucraina, abbiamo finora dedicato la nostra attenzione soprattutto all’aspetto energetico, anche perché è in questo settore che il conflitto incide maggiormente sul nostro paese. Negli ultimi giorni, tuttavia, i rapporti della Fao, dell’Ocse e della banca Mondiale mettono opportunamente l’allarme su una prospettiva altrettanto drammatica e certamente più diffusa: la disponibilità e i prezzi dei beni alimentari. Le conseguenze del Covid avevano già dato inizio a una rincorsa dei prezzi agricoli senza precedenti ma, nel mese di guerra, gli aumenti hanno superato ogni previsione e, nonostante la leggera flessione dell’ultima settimana, il futuro si presenta ancora peggiore. Russia e Ucraina sono infatti tra i maggiori produttori ed esportatori mondiali di beni alimentari essenziali. Ad essi si deve quasi un terzo delle esportazioni di grano, orzo e semi di girasole. La produzione e l’esportazione di questi beni non sono oggi in drammatica crisi solo a causa dei danni diretti della guerra, dell’interruzione delle vie di comunicazione e dei porti, ma anche perché un’elevata quota delle terre ucraine non può, in questa stagione delle semine, nemmeno essere coltivata.

Un gran numero di agricoltori ha abbandonato i campi e in tutto il paese non arrivano dalla Russia i fertilizzanti necessari per la normale produzione. Se non si verificheranno condizioni climatiche particolarmente favorevoli nel resto del pianeta, quest’improvvisa mancanza di prodotti renderà la situazione alimentare mondiale del tutto intollerabile e del tutto inedita. Anche noi italiani, ovviamente, subiremo le conseguenze di questa drammatica rivoluzione del settore alimentare, ma limitatamente (si fa per dire) all’aumento dei prezzi. L’Europa è, infatti, un forte produttore ed esportatore di prodotti alimentari, a cominciare dai cereali, e il loro arrivo nei nostri supermercati è assicurato, anche se a costi sempre meno affrontabili da un numero sempre crescente di consumatori. Gran parte dell’Africa e intere regioni del Sud-Est asiatico sono invece entrate in una drammatica situazione di mancanza di cibo, senza alcuna prospettiva di una vicina soluzione del problema. Eritrea e Somalia dipendono interamente dalle importazioni di grano da Russia e Ucraina, così come i tre quarti degli egiziani, dei libanesi e di tanti altri paesi dell’Africa e del Sud Est dell’Asia. Questo dramma dei paesi privi di sufficienti risorse alimentari è stato sottolineato dal vice direttore della Fao, Maurizio Martina, che ci ha ricordato che ben 26 paesi a basso livello di reddito dipendono da Russia e Ucraina per oltre la metà della loro importazione di cereali.

Non sorprende quindi che tutte le istituzioni internazionali prevedano drammatiche conseguenze sulla vita stessa di decine di milioni di persone.

Così come non possiamo non fare nostre le raccomandazioni della Fao di tenere aperti i mercati dei beni alimentari e dei fertilizzanti, di rivedere le restrizioni al loro export e di ripensare alle conseguenze delle sanzioni sulla vita delle persone. Un richiamo ai potenti della terra perché assicurino i rifornimenti alimentari ai paesi più poveri e più colpiti dalla guerra. Purtroppo non vediamo in alcun modo come queste nobili e doverose prese di posizione possano essere messe in pratica nel corso di un conflitto che si fonda esclusivamente sulle armi e sulle sanzioni e non lascia spazio ad alcun dialogo costruttivo.

Oggi l’unica certezza è che quest’anno arriveranno nei paesi più bisognosi 35 milioni di tonnellate di cereali in meno rispetto a quelli dello scorso anno. Sono già cominciate le lunghe file per il pane proprio a Tunisi (quasi in prospettiva di una nuova rivolta popolare), l’Egitto ha riserve di grano per pochissimi mesi e gli altri paesi africani, a partire da quelli del Mediterraneo, stanno ormai entrando in una progressiva e inevitabile crisi alimentare. C’è qualcuno che ci pensa oltre alla Fao? A questo punto (sempre per riflettere sul cibo e sulla terra) conviene ricordare che, oltre ai ben noti legami politici, la Cina, nella sua strategia di assicurare il cibo al miliardo e quattrocento milioni dei suoi cittadini, ha da tempo acquistato enormi estensioni di terreno coltivabile tanto in Russia quanto in Ucraina (v.Paolo De Castro, Corsa alla Terra, Donzelli editore 2013). Non credo certo che questi legami economici così profondi siano sufficienti a convincere la Cina ad impegnarsi finalmente in modo diretto per porre fine a questo conflitto. Ma si può permettere la Cina, anche dal punto di vista delle sue prospettive interne, che il mondo intero viva in una condizione del genere? Spero comunque che l’evidenza dell’estensione a tutti gli abitanti del pianeta delle conseguenze negative di questa “guerra mondiale a pezzi”, costituisca almeno uno stimolo per cercare gli accordi e i compromessi necessari per arrivare finalmente alla pace.

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