Francesco Grillo
Francesco Grillo

Il ruolo degli Stati/ Tutti i rischi di affidarsi alle politiche monetarie

di Francesco Grillo
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Giovedì 2 Settembre 2021, 00:10

In una delle scene madri della “Casa di Carta”, la serie televisiva spagnola che è stata tra le più seguite su Netflix nei mesi passati di fronte alla televisione durante la pandemia, il Professore, che è la mente della rapina presso la “fabbrica di moneta” di Madrid, spiega alla poliziotta di cui è innamorato la logica del colpo. 

Stampare 2 miliardi di euro, replicare ciò che le banche centrali fanno «creando moneta dal nulla» per spenderli facendoli arrivare alle persone normali, a differenza delle banche centrali che la usano per comprare titoli sui mercati finanziari. Nel film, il protagonista cerca di convincere la poliziotta che avrebbe dovuto catturarlo che, in questo senso, lui e i suoi amici sono ladri non più di quanto lo deve essere stato Robin Hood in un altro tempo. 
Il discorso del Professore sembra, in effetti, ignorare che le banche centrali hanno avuto il merito di salvare letteralmente un’economia - la nostra - che ha attraversato in soli tredici anni tre crisi mortali. Eppure il costo di un’operazione che ha definito la storia economica recente è quello di aver gonfiato i bilanci di queste istituzioni al punto tale da mettere banchieri e governi di fronte a rischi altrettanto grandi. La sfida sarà quella di ridimensionare entrambi in tempo rapido e senza incorrere in ulteriori effetti collaterali.

Le banche centrali sono da sempre tra i grandi stabilizzatori delle economie di mercato. Assieme ai governi, che compensano i cicli dell’economia espandendo e contraendo la spesa pubblica e alle stesse banche commerciali che finanziando le imprese e valutandone i progetti, fanno da canale distributivo delle decisioni di politica monetaria. 

Tuttavia, il loro peso è molto aumentato rispetto sia a governi fortemente indebitati che ad altre istituzioni finanziarie debilitate dalla crisi del 2007. Il compito di una banca centrale come quella americana (la Fed) è minimizzare l’inflazione e la disoccupazione, laddove l’economista Phillips notò nel 1958 che tra i due obiettivi c’è una relazione inversa influenzando decenni di scelte. Tale obiettivo viene perseguito fissando il tasso di interesse al quale eroga prestiti alle banche commerciali che regola e modificando la quantità di moneta in circolazione che inietta nel sistema acquistando titoli.

Quella europea - la Bce - ha un compito più limitato perché per statuto si limita a perseguire la missione di tenere l’inflazione attorno al 2% (anche se il suo Consiglio dei Governatori ne ha, appena, rivisto la strategia). Tuttavia, di fatto, con operazioni non convenzionali di acquisto di titoli, la Bce ha prodotto (come prima fecero le Banca Centrale del Giappone - Boj - e la Fed) un robusto “allentamento quantitativo” (quantitative easing) del costo che le imprese private e gli Stati pagano sul proprio debito, salvando di fatto la zona euro, prima, e le economie europee colpite dal virus, dopo. 

I numeri sono effettivamente straordinari: nel 2006 - prima che scoppiasse la bolla speculativa che portò il sistema bancario ad un passo dall’abisso - le banche centrali del mondo avevano al proprio attivo 7,7 trilioni di dollari; alla fine del 2019 la cifra si era quadruplicata. 
Veri motori della crescita sono, però, le tre banche centrali più grandi: Fed, Boj e Ecb.

Prima della pandemia i loro bilanci valevano quasi 15 trilioni di dollari; in un anno e mezzo, sono quasi raddoppiati e pesano quasi quanto la somma del Pil dei tre grandi blocchi. Quando il Professore della “Casa di Carta” ricordava come la Ecb avesse iniettato liquidità nel sistema per meno di 200 miliardi di euro all’anno, Mario Draghi inventava il bazooka che salvò l’euro, il programma di acquisto di titoli per l’emergenza pandemica voluto da Christine Lagarde nel marzo 2020, e aveva già speso 1300 miliardi. 

Non c’è dubbio che l’economia occidentale non sarebbe sopravvissuta senza un intervento che è molto più veloce di quello dei governi. Tuttavia, siccome sono le stesse leggi della fisica ad escludere che in natura esista l’albero che fabbrica moneta (e l’economia, in fondo, descrive sistemi naturali con un linguaggio matematico), il problema che oggi assilla i banchieri centrali è come uscire da una situazione innaturale senza rischiare di far morire un malato non ancora guarito.

In effetti ci sono, almeno, due grossi pericoli ad avere un sistema la cui stabilità è affidata alle sole banche centrali. Il primo è che siccome anche in economia (così come in biologia) nulla si crea dal nulla, sono le stesse banche centrali ad essere suscettibili di perdite su investimenti che si rilevassero sbagliati. 

Nel 2013, utilizzando gli stessi criteri che la Fed usa per verificare la sostenibilità dei bilanci delle banche commerciali (“stress test”), gli analisti di Bloomberg calcolavano che la Fed covava circa 500 miliardi di svalutazioni su titoli in portafoglio; oggi la stessa Fed detiene prestiti garantiti da mutui immobiliari (gli stessi che fecero deflagrare la crisi nel 2007) per una somma quasi tre volte superiore a quella del 2013.

È vero che la Bce è più selettiva, ma è altrettanto vero che maggiori sono i vincoli alla quale essa è sottoposta in caso di perdite che gli Stati membri (cioè i contribuenti) dovessero essere chiamati a ripianare.

Il secondo pericolo di affidarsi troppo a lungo ad una politica solo monetaria, è quello che lo stesso Mario Draghi chiama «azzardo morale»: risolvere le crisi pompando moneta nel sistema può avere l’effetto perverso di salvare amministrazioni e imprese che meritavano di lasciare il mercato a soggetti più efficienti e di ridurre l’urgenza a riformare ed innovare.
È per queste ragioni che bisogna continuare a considerare il periodo appena vissuto eccezionale (non convenzionale, appunto) e tornare alla normalità. Una normalità nella quale accanto alle banche ci sono governi politicamente legittimati a cambiare la struttura di economie e società. Bisogna farlo con i tempi giusti in maniera da non staccare il supporto ad un sistema non ancora uscito dalla crisi, ma ricordando subito a tutti che non si può ricominciare a crescere premendo un bottone. 

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