È troppo tempo che siamo esclusivamente impegnati ad osservarci l’ombelico, facendo finta che non succeda nulla o quasi attorno a noi. Le organizzazioni pubbliche si occupano preferibilmente di gestire i buoni sentimenti della popolazione e di accontentare, quando possono, questa o quella categoria di elettori. Insomma offrono una rappresentazione nella quale prevale il piccolo cabotaggio rispetto alla navigazione nei mari aperti. L’approccio alla considerazione dei problemi che travagliano la nostra vita non va oltre il misero spazio temporale che passa da un’elezione all’altra.
Ma questo è ciò che accade anche in Europa. Nel resto del mondo non va esattamente così. La ragione di questa differenza dipende da due motivi. Il primo è che il Vecchio Continente è ormai stanco. Dopo secoli nei quali ha svolto la funzione di faro del mondo e di guida della civiltà, non riesce più a trovare un simbolo di progresso che possa rappresentare il futuro e che lo identifichi. Il secondo motivo è legato al tipo di organizzazione politica, tendenzialmente finalizzata ad evitare di assumere responsabilità da parte di ciascun livello istituzionale. Gli Stati hanno scaricato sull’unione il gravoso compito di delineare il futuro della comunità e l’unione ha riversato sugli Stati l’onere di attuare le decisioni centrali. L’esito non poteva che essere quello di incentivare un infruttuoso gioco allo scaricabarile, nel quale forse si sono potute salvare le posizioni personali dei decisori, ma si è andato creando una sorta di sistema in parte irresponsabile e in parte incapace di assumere decisioni adeguate alle necessità dei tempi. E d’altronde è logico. Se occorre guidare un convoglio, è indispensabile procedere alla velocità della nave più lenta.
Il che, d’altra parte, comporta inefficienze. Ad esempio, se non ci fosse l’Unione Europea, probabilmente i singoli Stati sarebbero obbligati ad occuparsi della loro sopravvivenza in modo molto più attivo di quanto non facciano oggi. Intendiamoci, l’Unione ha costituito l’evento più rivoluzionario nella politica mondiale degli ultimi anni. Ma, come spesso accade nelle rivoluzioni, le aspettative sono rimaste in parte incompiute. Si è aperta una sorta di partita a scacchi per la gestione della sovranità, ma ogni mossa si è presa decenni prima di essere effettuata. Così la grande trasformazione, a cui avevamo legato le nostre speranze, si è mutata in una sciarada burocratica, quasi una camicia di Nesso, che ostacola il nostro futuro.
Guardiamo a quanto accade intorno a noi. Possiamo anche illuderci di vivere in un mondo dove regni la pace, ma la triste realtà è che ci troviamo oggi in una vera e propria situazione di guerra che ci tocca da vicino. Certo non è una guerra che si svolge secondo canoni tradizionali.
A tutto ciò si è aggiunta una guerra commerciale senza pari. Differenziati costi del lavoro e pesanti politiche di dumping, non solo in Cina, ma anche negli Usa, vanno scalzando i tradizionali luoghi di produzione di beni e servizi. Contemporaneamente, le difficoltà di bilancio di molti paesi occidentali si riflettono sui costi dei partecipanti ai mercati finanziari, rendendoli meno attrattivi nel nostro continente. In questo preoccupante scenario si innesta un ultimo fronte, quello delle grandi migrazioni verso l’Europa. Si tratta di un fenomeno che si è sempre verificato nei secoli. Le migrazioni del passato erano mosse dagli eserciti. Quelle di oggi sono guidate da donne e bambini, contro i quali non esiste alcuno strumento deterrente. Al netto delle chiacchiere, non si può fare assolutamente nulla se non, forse e nei limiti dell’affidabilità degli interlocutori, cercare di stimolare la crescita delle economie dei paesi di origine.
A fronte di questi problemi che, come una nube nera, offuscano il nostro futuro, invece di utilizzare tutti i mezzi a disposizione, abbiamo scelto di limitare le nostre possibilità di azione. Se guardiamo a come sono gestite le situazioni di crisi negli altri continenti, è facile constatare che, quando Annibale è alle porte, nessuno più bada a spese. Si vedano le scelte di Stati Uniti e Cina, giusto per fare un esempio, dove i deficit di bilancio sono cresciuti in modo esponenziale, senza per questo creare problemi ai rispettivi governi.
L’Unione Europea invece è l’unico soggetto che ha deliberatamente deciso di mantenere la struttura del Patto di stabilità – indispensabile nella fase di costruzione dell’euro – limitando in tal modo le proprie capacità di reazione.
Precludersi la possibilità di intervenire con tutti i mezzi necessari per far fronte a questa situazione di vera e propria guerra, non ha altra conseguenza se non quella di mettere a nudo le sue debolezze e l’incapacità di affrontare gli eventi: segno inequivocabile di decadenza. Mentre è forse questo il momento di unire le forze, senza curarsi di egoismi ed interessi particolari e guardando solo alla salvaguardia della casa comune. Per non fare la fine dei capponi di Renzo, che beccandosi tra loro finirono entrambi in pentola.
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