Carlo Nordio
Carlo Nordio

Il nodo dei dati/ L'inspiegabile resistenza del garante al Pass verde

di Carlo Nordio
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Mercoledì 28 Aprile 2021, 00:06

Senofane di Colofone, da noi citato altre volte, sosteneva che gli africani immaginano gli dei neri e ricciuti, i traci li dipingono biondi e con gli occhi azzurri, e che se un triangolo potesse pensare affermerebbe che Dio è fatto a triangolo. Il disincantato filosofo intendeva dire che ognuno descrive la realtà attraverso la lente deformante dei propri pregiudizi e interessi. Un concetto avallato dall’attuale epidemia, che ognuno ha interpretato secondo il proprio punto di vista: i virologi hanno guardato ai contagi, i clinici ai ricoveri, i matematici alle proiezioni, gli imprenditori ai fatturati, i sindacati all’occupazione, i ristoratori al coprifuoco e i politici alle loro convenienze elettorali.

In questo groviglio si è ora inserito il Garante della privacy, che ha bacchettato il governo e il decreto sul “green pass”, accusato di numerose criticità. La più grave è quella di non essere stato interpellato. Seguono le valutazioni negative di merito, compreso il mancato rispetto della riservatezza individuale. Un osservatore disinteressato, e magari polemico, potrebbe obiettare che in Italia la riservatezza è una vuota litania, quotidianamente deturpata anche da chi, come qualche magistrato, la dovrebbe assicurare più di ogni altro. Tanto per citare le solite intercettazioni, quelle legittime e quelle no, esse si sono intrufolate nella vita privata non solo degli indagati, ma anche di persone estranee alle inchieste, estendendosi a giornalisti, avvocati, parlamentari e persino a Presidenti della Repubblica. Al che si potrebbe rispondere che, come recita il brocardo, addurre un inconveniente non significa risolvere il problema, e che se qualcuno sgarra questo non è un buon motivo perché tutti ignorino la legge. Verissimo. Ma se il cattivo esempio viene dall’alto, e se nessuno protesta salvo quando la disgrazia tocca a lui, l’intero concetto di privacy diventa una beffarda astrazione metafisica. 

A parte ciò, è proprio vero che le notizie contenute nel certificato possono vulnerare questo principio, e addirittura costituire una discriminazione? Ne dubitiamo fortemente. Questo passaporto non è infatti obbligatorio, e quindi non impegna la totalità dei cittadini esponendoli a un generalizzato controllo di immotivata e morbosa curiosità. Esso è un requisito per poter garantire la salute altrui in presenza di circostanze che la possono compromettere, come accade quando le nostre relazioni si estendono oltre la nostra ordinaria individualità. Nessuno, ad esempio, impone al cittadino di recarsi dall’oculista se inizia a vederci male.

Può anche decidere di avviarsi alla cecità per rassegnazione, come alcuni indù, oppure per comprendere meglio la realtà con gli occhi spenti del poeta, come Omero. Ma se decide di guidar l’automobile la visita è obbligatoria, perché altrimenti combinerebbe disastri. E qui è lo stesso. Se decidi di startene a casa in tranquillità anacoretica nessuno verrà a disturbare il tuo riserbo, o almeno non verrà a causa del provvedimento di Draghi. Ma se decidi di socializzare come meglio credi, allora devi dimostrare di farlo senza metter a repentaglio la salute altrui. Per questo, se il decreto ha un difetto, questo consiste semmai nella sua scarsa consequenzialità. Ci saremmo aspettati che il possessore del certificato avesse una libertà ben maggiore di quella concessagli, come quella di rientrare a casa quando vuole, o di andare tranquillamente in palestra o di cenare al riparo dalle intemperie. 

Ora, se l’intervento del Garante costituisse una mera critica nei confronti del provvedimento governativo, potremmo anche lamentare lo scarso coordinamento tra due organi con funzioni differenti ma con analoghe finalità di interesse collettivo. Invece questa sortita ha già provocato conseguenze concrete e funeste. Molti medici infatti esitano a rilasciare queste attestazioni per timore di violare una qualche disposizione - che nel nostro ingarbugliato sistema si può sempre recuperare tra le righe di una normativa complessa - e di dover subire conseguenze professionali, economiche o magari penali. Alcuni, pare, vi oppongono addirittura un rifiuto. Si tratta dell’ennesimo esempio di cautela difensiva che ormai contrassegna ogni attività pubblica, perché chiunque sia investito di una qualche funzione teme che questa si converta in gravosa responsabilità. 

Ora, il presidente Draghi ha posto tra le priorità del suo programma la cosiddetta deburocratizzazione e la semplificazione delle procedure. Ci permettiamo di ricordargli che Italia abbiamo vigenti oltre duecentomila leggi: forse di più, perché chi ha cominciato a contarle alla fine si è perso. La “stratificazione di leggi”, l’ha definita ieri sera in Parlamento. E’ una quantità dieci volte superiore alla media europea, ed è da questa confusione che nascono i nostri principali malanni: a cominciare dalla stessa corruzione, per finire con la paralisi delle attività indispensabili. Come rischia di avvenire ora, nella certificazione degli immuni e dei vaccinati.

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