Alessandro Campi
Alessandro Campi

Le "fatiche" di Conte/ Il fisico bestiale per fare il politico nel nostro Paese

di Alessandro Campi
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Mercoledì 15 Settembre 2021, 00:09

S’è molto ironizzato, nei giorni scorsi, sulla precoce stanchezza di Giuseppe Conte nel passaggio dal Palazzo alla Piazza, dal ruolo di Presidente del Consiglio a quello di Capo-Fazione. Ma il neo-leader dei M5S, in un momento di sincero sconforto, ha detto una verità alla quale spesso non si pensa: per fare politica – uomo o donna che si sia – ci vuole un fisico bestiale.

Poi ci vogliono anche altre caratteristiche, è evidente: un minimo di capacità professionale (astenersi sfaticati e incompetenti), una certa ambizione (meglio se non sfrenata, perché altrimenti ci si fa male da soli), un qualche tensione morale, un po’ di spirito altruistico, un’idea forte di sé e della società, un’intima passione, qualche buona lettura anche solo mandata giù a memoria, un che di maniacale nel modo di fare, una certa flessibilità caratteriale e la capacità di mediare (l’intransigenza in politica non paga ed è persino dannosa, specie quando travestita da moralismo), mettiamoci anche il proverbiale pelo sullo stomaco. Ma se ti mancano le energie, se appunto non hai il fisico e una buona dose di resistenza, meglio dedicarsi ad altro. 

Lo vediamo in questi giorni di campagna elettorale, ma è così da sempre per chi fa politica sul serio: oggi sei a Como, domani a L’Aquila, nel pomeriggio dello stesso giorno a Narni. E devi stringere mani, salutare persone, parlare e parlare ripetendo fatalmente sempre le stesse cose, far finta di riconoscere persone che hai dimenticato o che in vita tua non hai mai visto. E poi cene, aperitivi, richieste di foto, militanti e simpatizzanti che giustamente vogliono starti vicino, magari toccarti, dirti qualcosa che loro ritengono fondamentale, e tu giustamente devi starli a sentire – senno che politico o capo sei? –, rispondere a tutti anche solo con gli occhi, sorridere possibilmente a ognuno. Appunto, una fatica, certo anche una soddisfazione, qualcosa che riempie l’animo visto che i politici sono per definizione egocentrici, ma arrivi alla sera che sei distrutto e sfinito. E se non sei un leader nazionale, ma un candidato o politico locale, idem: vai al mercato, poi in periferia, incontri i commercianti, poi gli ambulanti, c’è il tizio della televisione locale che ti chiede un’intervista o una battuta, c’è il cittadino che ti parla della buca sotto casa o del parco pieno di erbacce. E li devi sentire e assecondare tutti e a tutti possibilmente devi dare ragione. Anche perché se non fai tutte queste cose poi chi te li dà i voti? Ma anche quando non è tempo di elezioni le cose non cambiano molto. Che tu sia segretario di partito, ministro, parlamentare, assessore regionale, consigliere comunale, poco importa: riunioni, votazioni, ora un tweet, ora un post, un pasto volante, un’inaugurazione, una cena di finanziamento, appuntamenti istituzionali d’ogni tipo, feste e sagre, e poi telefonate, telefonate, telefonate. E in tutto questo metteteci anche la tensione che deriva dal dover spesso dissimulare, nascondere i propri sentimenti o pensieri autentici, dire cose in cui non si crede sino in fondo o bugie vere e proprie. Ma aggiungeteci anche lo stress di essere attaccati dall’avversario, sgambettati dal collega di partito, insultati dall’elettore dell’altra sponda, messi alla berlina o chiamati malamente in causa dalla stampa avversa. E infine la necessità di dover ora dichiarare, ora smentire, sempre promettere. 

Bene, chiudete gli occhi e fate un esercizio mentale: quanti dei lettori di quest’articolo resisterebbero a una simile routine o ambirebbero per sé a una simile vita? Per i politici di professione o di lungo corso pare che certi ritmi, per quanto massacranti, siano come una droga di cui non si può fare a meno.

Più si stancano, più si agitano, meno dormono, più trovano le energie per ricominciare il giorno dopo. Appunto, ci vogliono una disposizione fisica ad hoc, una forza mentis peculiare, un modo di fare e di essere che non è di tutti. E chi pensa che si faccia politica solo per arraffare soldi, beh, davvero non ha capito nulla. Si dirà: anche fare il Presidente del Consiglio, o il Capo dello Stato, o rivestire un qualunque ruolo ufficiale importante, è una fatica: riunioni, incontri, discussioni, telefonate, letture di dossier, viaggi in auto e in aereo. Chi ha funzioni di governo, specie se ad alto livello, deve inoltre valutare, decidere, scegliere (quella che si chiama la responsabilità del comando…), sapendo che a molti non andrà bene, sapendo che è facile sbagliare anche quando si crede di fare bene. Tutte cose, anche queste, che non si fanno a cuor leggero e che richiedono una grande impegno e molto sforzo, mentale e, va da sé, fisico. Vero, verissimo, ma non è la stessa cosa della politica, quella un po’ bruta e carnale, di cui stiamo parlando. Un conto infatti è il mondo un po’ ovattato delle istituzioni e del palazzo, dove c’è quello che ti prepara il discorso da leggere, quell’altro che ti organizza l’agenda al secondo, c’è il tecnico che ti istruisce il dossier, c’è il consigliere giuridico o diplomatico o economico che ti suggerisce l’argomento giusto o migliore, c’è il cerimoniale che provvede a tutto, e gli interlocutori (per quanto impegnativi o maldisposti siano) sono comunque dei tuoi pari grado. 

La piazza, la strada, il comizio, la sezione, la sala dell’albergo in periferia, il palchetto improvvisato, la caccia al voto – insomma tutte le cose che adesso ha scoperto Giuseppe Conte, dopo due anni e mezzo passati nelle stanze ovattate e scintillanti del potere tra Roma e Bruxelles – sono un’altra cosa. Devi dunque improvvisare, mostrarti affabulatore, magari scopri che a sentirti non c’è il pubblico che speravi, poi arriva la vecchietta o il disoccupato che ti insulta, trovi quello che vuole abbracciarti, quell’altro che vuole spiegarti come va il mondo, quello che ti aspetta da ore per chiederti un favore o darti un bigliettino: la varia e imprevedibile umanità, quella che in democrazia vota e decide. Stiamo insomma parlando – ed è bene farlo proprio in questi giorni di intensa campagna elettorale in molte città e regioni italiane – dell’altra faccia della politica, forse quella più autentica e necessaria, ma appunto, quanto è dura, specie se non l’hai fatto mai! Ma si può sempre imparare. Basta, caro Conte, rimboccarsi le maniche.

Di tutto ciò dovrebbero ricordarsi soprattutto quelli che denigrano la politica per partito preso (uno sport nazionale, negli ultimi trent’anni) e ne fanno solo una questione di competenza e di onestà, scordandosi tutto il resto, a partire proprio dalla fatica e dal sudore. Denigrano in realtà un mestiere – sì un mestiere – che non farebbero mai e che soprattutto non saprebbero fare.

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