Giovanni Castellaneta

Così la stabilità può aprire nuove frontiere

Crisi Russia-Ucraina: l'Ue si è fatta ancora notare per la sua assenza

Così la stabilità può aprire nuove frontiere
di Giovanni Castellaneta
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Giovedì 10 Febbraio 2022, 07:19 - Ultimo aggiornamento: 15:49

Se il 2021 si era chiuso all'insegna di uno spirito di ritrovata convergenza (almeno a parole), per le relazioni internazionali il 2022 è cominciato in un clima turbolento, per usare un eufemismo. Il G20 di Roma e la COP26 di Glasgow, seppure in maniera non del tutto soddisfacente, avevano rivelato la volontà da parte delle principali potenze mondiali di collaborare su alcune questioni prioritarie a livello multilaterale: il contrasto alla pandemia, le misure di stimolo alla ripresa economica, la lotta al cambiamento climatico per garantire un futuro al pianeta. A quasi tre mesi di distanza, sembra di essere tornati indietro di parecchio tempo, dato che lo scenario globale è attualmente caratterizzato da numerose aree di tensione che potrebbero mettere a repentaglio gli incerti passi avanti che erano stati compiuti nei mesi scorsi.


Le zone di crisi sullo scacchiere internazionale sono molteplici. Pensiamo ai ferri sempre più corti tra Cina e Taiwan, con la prima che avanza rivendicazioni sempre più esplicite nei confronti dell'isola ribelle. Gli Stati Uniti in caso di azioni ostili di Pechino nei confronti di Taipei potrebbero intervenire, forti delle alleanze rafforzate nel Pacifico dall'amministrazione Biden che hanno evidenziato come l'Asia orientale abbia assunto per Washington un'importanza strategica. Ma pensiamo anche alla crescente instabilità in Africa, dove tentativi di colpi di Stato nelle ultime settimane hanno fatto alzare di nuovo le tensioni politiche in un continente che sembra non trovare pace (e dove peraltro la crisi in Etiopia per il momento silente è in realtà ancora lontana dall'essere risolta).


Tuttavia, ragionando in un'ottica prettamente italiana dovremmo preoccuparci maggiormente delle crisi che ci interessano più da vicino. In questo senso, è chiaro che l'alta tensione al confine tra Russia e Ucraina ha delle ripercussioni dirette e significative sul nostro Paese, soprattutto in senso economico e per due motivi principali: l'impennata dei costi di approvvigionamento dell'energia (considerando che l'Italia dipende fortemente dal gas russo e che dall'Ucraina passa il 37% del gas in arrivo verso l'Europa), e le mancate esportazioni verso la Russia da quando sono state introdotte le sanzioni nel 2014 (l'export italiano è diminuito mediamente del 20% rispetto alla situazione precedente all'invasione della Crimea). In questa partita, il nostro Paese si è scoperto particolarmente vulnerabile, anche perché l'Unione Europea ha dimostrato una volta di più di non essere un attore rilevante a livello geopolitico. Prigioniera delle sue divisioni (con la Germania che si conferma la più cauta nei confronti di Mosca a causa degli stretti legami economici ed energetici) nonché consapevole di essere sotto scacco della Russia (che un mese fa ha iniziato a chiudere i rubinetti del gas in transito attraverso l'Ucraina), l'Ue si è fatta notare nuovamente per la sua assenza e incapacità di giocare un ruolo rilevante sul piano geopolitico. Per questo motivo, la questione viene gestita in prima persona dagli Stati Uniti sotto l'ombrello della Nato: niente di nuovo rispetto al passato, anche se probabilmente Washington vorrebbe un sostegno maggiore da parte di Bruxelles, in linea con la minore proiezione degli Usa nella regione euro-mediterranea che si è verificata a partire dalla presidenza di Barack Obama.

Una Nato che dovrebbe tornare alla iniziale missione costitutiva di difesa dei propri membri, uno per tutti, tutti per uno, che le spinte all'allargamento tende a frammentare come è accaduto nelle varie fasi di espansione della Unione Europea


Cosa dovrebbe fare dunque l'Italia per tutelare al meglio il proprio interesse nazionale? Probabilmente il Governo Draghi dovrebbe partire dai messaggi chiari lanciati dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il suo (secondo) discorso di insediamento. Ribadendo la centralità di alcuni punti fermi della politica estera nazionale, il Presidente Mattarella ha innanzitutto ricordato la vocazione atlantista del nostro Paese. La rinnovata apertura all'Europa da parte di Joe Biden (dopo gli anni difficili della Presidenza Trump) ha aperto ad una nuova stagione delle relazioni transatlantiche, con vantaggi in ogni ambito per Roma, dalla geopolitica all'economia (non dimentichiamoci che gli Usa sono un mercato cruciale per il made in Italy). In secondo luogo, il Presidente ha ribadito con fermezza come i sistemi democratici debbano essere protetti e sempre preferiti rispetto a quelli autoritari. Un'affermazione non scontata in un momento nel quale la crisi russo-ucraina rischia di portare alcuni Paesi europei più vicini all'orbita di Mosca a causa della forte dipendenza dal gas naturale in arrivo dalla Siberia.


Che fare, dunque, perché l'Italia riesca a ritrovare un ruolo centrale in politica estera, quantomeno a livello regionale e con riferimento all'area mediterranea? La stabilità politica garantita dalla rielezione del Presidente Mattarella potrebbe aprire una grande opportunità, consentendo al premier Draghi di mettere a frutto il prestigio ritrovato sul piano internazionale. Questa situazione favorevole consente di affrontare con più forza e tranquillità i dossier che sono per noi più importanti: dalla cooperazione con il Nordafrica (cercando ad esempio di portare la Libia finalmente verso una stabilizzazione) al rafforzamento della partnership con i Balcani occidentali. Il tutto all'insegna di pragmatismo ed equidistanza, due valori che sono stati la cifra della politica estera italiana negli ultimi decenni e che ci hanno permesso di mantenere una posizione rilevante nel Mediterraneo. Insomma, è possibile pensare in grande e immaginare un'Italia centrale nella regione? Storicamente, Roma ha avuto un ruolo determinante nell'area, a partire dall'Impero romano che vedeva nell'Italia il proprio fulcro geopolitico. Tornare a quella situazione è ovviamente impensabile, ma immaginare un'Ue sempre più presente e protesa verso il Mediterraneo grazie al ruolo trainante dell'Italia è invece sensato e auspicabile. Roma caput mundi è irripetibile ma capitale della Italia che non sia solo quella del turismo ma anche della economia, della finanza , della cultura, dell'Alta politica, è un sogno che ora dobbiamo provare a realizzare.
 

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